Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Si pone sotto il segno della morte, l’afflato memoriale di Pupi Avati. Come suggerisce la nonna al piccolo Edo all’inizio «quando non ti ricordi qualcosa vai al cimitero e vedi che ti ricordi tutti i nomi». L’impulso vitale del regista, forte, saporoso e terragno è il risultato di un confronto serrato con la morte. Il ricordare, ben lungi dall’essere un bearsi compiaciuto di un piccolo mondo antico fatto di cose di cattivo gusto, assume i contorni di una vertigine: si ricorda non ciò che è stato ma ciò che ancora può essere raccontato e condiviso. Cose che forse non sono mai accadute. Si dividono così le spoglie mortali di ciò che resta di una comunità e di un Paese. In questo senso l’ispirazione dell’ultimo Avati esalta la vena crepuscolare che costituisce il nucleo di tutto il suo cinema. Il cuore grande delle ragazze si pone come ipotetica chiusura di una trilogia della memoria iniziata con il sottovalutato Gli amici del Bar Margherita, il cui atto centrale è il dolente Una sconfinata giovinezza. Il ricordo, infatti, sembra essere prerogativa di chi è stato bambino o di chi ritorna a esserlo: un rifiuto dell’esistente. Il cuore grande delle ragazze, tra i migliori Avati degli ultimi anni, recupera elementi favolistici (il biancospino), una vena di sarcastica cattiveria (geniale la gag degli Orbini di Persiceto) e un gusto arrembante per il sesso come impresa guascona e nostalgia di essere altrove. Come un demiurgo artigiano, Avati allestisce la scena primaria della sua vocazione firmando un film incantato che non si fa illusioni. Il cuore grande delle ragazze è l’Antologia di Spoon River di Pupi Avati. Dentro ci sono tutti i nomi del suo cinema.
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