Regia di Mike Cahill (II) vedi scheda film
Another Earth perplime alquanto, soprattutto perché osa come pochi. Cahill non è poi così conosciuto, non ha grandi precedenti, ma in Another Earth sembra essercisi lanciato violentemente, come le zoomate improvvise che colpiscono i volti di solitudini affrante. Siamo soli in questo universo? Ma soprattutto, saremmo meno soli se ci fosse qualcun'altro? E' questo che sovviene, osservano gli sguardi della brava Brit Marling e del meno convincente William Mapother, mentre riproducono con ruoli opposti il dilemma del perdono (anche qui profondamente laico) del Figlio dardenniano. Non si pensi qui che si parli di un film che pareggi la qualità del capolavoro belga (non è assolutamente così!), ma effettivamente la prima cosa che viene in mente, di fronte ai tanti accostamenti originali di Another Earth, è proprio questo, la presenza del perdono e del prezzo della solitudine. E non basta: Cahill ci lancia addosso (sempre con le sue zoomate) altri quesiti esistenziali/fantascientifici. Cosa succederebbe se vedessi me stesso? Sarebbe utile? Forse capirei che il senso di tutto sta, dopotutto, in me stesso? Di fronte a quest'idea (e a un finale secco e [si perdoni simile sacrilegio] quasi dardenniano, nella sua immediatezza, nella sua importanza e nalla sua antispettacolarità) ci si inchina ammirati, chapeau all'ideatore di simile trovata, geniale, profonda, spettacolare. Non è certo una nuova storiella qualunque, qui ci troviamo a un genere che ancora è riuscito a non diventare una moda, la fantascienza filosofica, che riesce ancora oggi a dire qualcosa di nuovo. E qui per di più la dimensione fantastica (spaventosamente terrena e reale) riesce ad affiancarsi normalmente a una realtà abbastanza sporca e fastidiosa, in cui la colpa si tramuta in cupio dissolvi, in contraddizioni morali e in difficoltose dinamiche umane, e ci si affianca normalmente, appunto, senza alcun tono eclatante, o almeno con un tono eclatante come potrebbe esserlo davvero, nelle nostre ombrose vite quotidiane (specie se siamo stati in prigione per aver fatto i Talete in mezzo alla strada), un eclatante tutto introspettivo, reale, interno, a cui non corrispondono, molto semplicemente, grandiosi effetti speciali. Quindi Another Earth, oltre a rientrare a pieno titolo nella fantascienza filosofica, riesce anche ad essere realistico, e a demolire la credibilità di tanti blockbuster.
Ma allora cosa c'è che non va? Cos'è che stride in tanta voglia di porgere il problematico a un pubblico di oggi viziato e dentro di sé profondamente annoiato? Cosa può mai oscurare simile tentativo, da parte di Cahill, senza però farsi individuare in maniera evidente? E se fosse l'aspetto più esplicito a, purtroppo, innervosire? La regia. Ecco, proprio la regia di Cahill, con i suoi ralenti, zoom, movimenti 'striduli' e sfacciatamente originali. Cosa c'è che non va nell'originalità? C'è che spesso viene ostentata, e questo film è proprio uno di quei casi. Le scene si succedono velocemente, senza infondere tedio, ma spiazzando, passando da sequenze efficacissime (soprattutto quando la protagonista Rhoda racconta le sue due storie, il ticchettìo e poi la storia di sé stessa) a passaggi stiracchiati e poco credibili, che deludono di fronte a simile struttura "realistica" (l'allegoria platonica della caverna esce come se niente fosse dai discorsi, come il bidello della scuola che spiega "Si è accecato perché non voleva vedere sé stesso"). Profondità filosofiche vengono pronunciate da chiunque come aneddoti curiosi da una rivista, e questo non perché tutti sono stati illuminati dall'esperienza di un 'nuovo uguale mondo'. E' dunque quest'incostanza a disturbare maggiormente, in questo apologo sulla solitudine umana. Per ogni pregio, il film di Cahill riserva un difetto troppo forte, che nasce proprio da quella voglia di osare, ammirabile, ma che sfocia nel pretenzioso. E il fascino della tematica rimane sotto strati di presunzione autoriale, o chissacché, che non giustifica una vivacità espressiva (a tratti quasi documentaristica) evitabile e inadatta a simili profondità abissali.
Così si finisce la visione di Another Earth, con il desiderio di apprezzarlo ma con un freno che ti ferma e ti dice: "Dov'è finita l'umiltà?". L'umiltà delle origini, l'umiltà degli esordienti, dov'è? Speriamo in un'evoluzione migliore di un regista che da questo film non promette tanto bene, ma che forse può crescere e assumere una maggiore coscienza cinematografica. Intanto, però, cerchiamo di entrare nel film senza curarci della confezione, su misura per un festival stravagante. Cerchiamo di distrarci. E sconvolgiamoci: le strade della Terra (almeno della Terra 1) sono davvero pericolosissime. Attenti a guidare.
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