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Il ventaglio segreto

Regia di Wayne Wang vedi scheda film

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La recensione su Il ventaglio segreto

di mc 5
10 stelle

Non posso che confermare quanto avevo considerato, giusto pochi giorni fa, in sede di recensione di "Cars 2", circa questa estate "lunare", con un mercato cinematografico tenuto sotto scacco da sole tre pellicole che ne bloccano qualsiasi evoluzione. Non esce infatti più nulla nelle sale da ormai un paio di settimane. Però a volte, quando non ti aspetti più nulla e sei rassegnato, può capitare che ti arriva il miracolo, sotto forma di un film che ti appassiona e ti rapisce il cuore. "Il ventaglio segreto". Ricordo che quando vidi la prima volta quella locandina pensai subito a qualcosa di melenso e deprimente. E invece ho visto uno dei film più emozionanti della mia vita di frequentatore di sale da cinema. Non è la prima volta che la mia attenzione si concentra con tutto l'affetto possibile su un film non troppo appariscente, di quelli che non suscitano clamori e che i critici trattano con poco interesse. Non intendo qui soffermarmi a ribadire un concetto che più volte ho espresso: ogni film va giudicato nella sua unicità e la soggettività del nostro sguardo dovrebbe evitare, per quanto possibile, le comparazioni fra prodotti non omogenei. Perchè allora sarebbe troppo facile (e terribilmente banale) argomentare "...ma se al Ventaglio Segreto attribuisci il massimo dei voti, allora a Kubrick o a Hitchcock cosa dovresti dare?". Ecco, questo sarebbe il modo peggiore di porre la questione. E dunque, se capita che un film di un regista anonimo "mi prende bene", nessuno può giudicare eccessivo il mio entusiasmo ("eccessivo" poi rispetto a cosa?). Io comincerei col segnalare la singolarità del curioso curriculum del regista hongkongese Wayne Wang. Un assortimento di titoli e generi che non ci si crede. Si va da "Un amore a 5 stelle" con la diva Jennifer Lopez fino a "L'ultima vacanza" con l'inedita coppia di star Depardieu e Queen Latifah, passando per robe assurde tipo "Il mio amico a quattro zampe". Cineasta "alimentare", dunque? Non esattamente, se consideriamo due perle (due autentici cult!) datate entrambe 1995, sulle quali qualche parola bisogna spenderla. Le due pellicole ("Smoke" e "Blue in the face"), entrambe in un bellissimo bianco e nero, presentavano molteplici motivi d'interesse. Si trattava di due opere, se non complementari, almeno parallele e strettamente collegate in quanto ricavate dal medesimo set. Prima di tutto erano accomunate dal nome di un illustre sceneggiatore, il celebre scrittore e intellettuale Paul Auster, per non parlare poi degli "amici" che avevano aderito al progetto formando un cast davvero incredibile: Ashley Judd, Forest Whitaker, Harvey Keitel, William Hurt, Jim Jarmusch, John Lurie, Lou Reed, Madonna, Michael J.Fox, Mira Sorvino...Insomma, tutto questo per dire che Wang è, sì, un regista di quelli "pronti a tutto", ma il cui gusto e dignità restano sempre accettabili anche quando è alle prese con soggetti decisamente pop. Questo film è prima di tutto un miracolo di DELICATEZZA che ti lascia senza fiato. Ti investe con un assalto di GRAZIA ed ELEGANZA che ti tolgono le parole. Raramente (o forse mai...) prima d'ora avevo visto rappresentare sullo schermo la descrizione di una granitica amicizia fra due donne raccontata attraverso una tale sbalorditiva tenuità di sentimenti, utilizzando toni delicatissimi che producono un risultato di clamorosa RAFFINATEZZA. Ciò è da accreditare a una scelta stilistica del regista, oltre che alla qualità del romanzo originario da cui l'opera è tratta. Ma -soprattutto- il merito primario va riconosciuto alle due SONTUOSE protagoniste. E qui non voglio porre limiti ai miei aggettivi, perchè -lo confesso- io di Bingbing Li e di Gianna Jun mi sono (davvero) innamorato. In tanti anni di militanza cinefila, di belle donne ne ho viste scorrere a centinaia, ma stavolta è diverso: oltre ad essere molto belle, queste due attrici possiedono una GRAZIA e una FINEZZA che sono due bombe pronte a deflagrare. Il film ha il pregio di coniugare con sapienza una cultura antica millenaria con la Cina di oggi, frenetica e turbocapitalista. Si parte con la scena di una cena aziendale che consacra la brillante carriera di Nina. Dopo poche ore, però, Nina viene avvisata che la sua cara amica Sophia giace in coma in un letto d'ospedale in seguito ad un incidente stradale. Subito accorre al suo capezzale e da lì, da quella stanzetta asettica, nel cervello e nel cuore di Nina ha inizio un lungo percorso di riflessione che la porterà molto lontano ma che alla fine comporterà una fatale chiusura del cerchio, la quale si manifesterà nel rafforzamento del vincolo supremo che lega le due donne. E' difficile con le parole rendere l'idea (e lo spirito) di ciò che accade in quei 105 minuti che vanno dal concitato arrivo di Nina all'ospedale fino alla straordinaria inquadratura finale sulla quale tornerò fra poco. In mezzo ci sono secoli di storia, in un continuo di salti temporali che ci trasportano dalla Cina del XIX secolo (in pieno tumulto) alla Shangai fredda e opaca dei nostri giorni. Ci troviamo a ripercorrere tutta la storia dell'amicizia tra Nina e Sophia, compresi i momenti più controversi in cui il destino pareva vederle contrapposte, per poi approdare al clamoroso (e dolcissimo) ricongiungimento finale. Una sceneggiatura sapiente rende fluida la vicenda nonostante la complessità del continuo alternarsi di due differenti piani temporali. Infatti va detto che il percorso umano e sentimentale di Nina e Sophia viene raccontato, per tutto il film, parallelamente a quello analogo di due loro antenate nella Cina del XIX secolo, Lily e Fiore di Neve. Queste ultime ci vengonmo mostrate fin da bambine, quando qualcuno decise che sarebbero state "amiche per la vita" e che nessuno avrebbe mai potuto spezzare quel filo che univa le loro esistenze. E dunque le vediamo crescere, assistiamo agli eventi piacevoli ma soprattutto a quelli drammatici che funestano le loro vite. Il punto centrale è proprio la natura del rapporto che lega le due protagoniste. Un legame forse non del tutto comprensibile ai nostri occhi di spettatori occidentali, poichè affonda le sue radici nella più profonda spiritualità della cultura della Cina antica, insieme anche al linguaggio Nu Shu, una forma di comunicazione scritta che era riservata solo alle donne. Quel legame ha un nome preciso: LAOTONG. Esso è un vincolo che travalica il concetto di semplice amicizia. Un qualcosa che lega per sempre due destini, e solo noi occidentali potemmo interpretarlo in modo ambiguo attribuendogli valenze "amorose", il che ci porterebbe assolutamente fuori strada. Potremmo tradurlo, approssimativamente, come "sorellanza giurata". Quanto al cast, delle due protagoniste ho già riferito, anche se vorrei ora rendere giustizia anche alla loro bravura, oltre alle evidenti doti di fulgida bellezza. Ma va segnalata anche la partecipazione, quasi un cameo ma in realtà è molto di più, di Hugh Jackman nel ruolo di un brillante viveur: l'attore è molto in forma e lo vediamo addirittura...cantare in cinese! Se qualcuno leggendo le mie note si è fatto l'idea di un ingombrante mélo, sappia che il film  va osservato sotto un'altra ottica: diciamo che esso punta tutto sulla forza dei sentimenti, senza vergognarsene, ma anzi esaltandone la potenza e trasmettendo al pubblico il senso di rigore di valori incrollabili quali il rispetto, la lealtà e l'amicizia. Il film vive di momenti di rara emozione: la cerimonia in cui alle bambine venivano tradizionalmente fasciati i piedini per mantenerne le piccole dimensioni...e poi, soprattutto, c'è un'inquadratura finale (proprio l'ultima!) che da sola vale il prezzo del biglietto...è un'immagine che mi ha fatto commuovere, talmente pura, potente ed intensa che sinceramente non mi sento all'altezza di descriverla. Le ultime parole prima dei titoli di coda: "LAOTONG PER DIECIMILA ANNI".
Voto: 10

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