Regia di Simon Pummell vedi scheda film
Nascita, crescita, sesso, violenza, morte, sogni: è questo il sottotitolo che l’autore dà al suo straordinario documentario sulla vita umana. In realtà, l’itinerario è così finemente articolato da suggerire una suddivisione più precisa: il concepimento, il parto, la maternità, i primi passi, la scuola, i giochi, il turbine dell’adolescenza, l’energia della giovinezza e lo sport, l’amore e la guerra, la malattia, la vecchiaia e la morte, i riti collettivi delle religioni, la danza, l’espressione artistica ed il linguaggio verbale, le battaglie politiche. Questi argomenti sono presentati sottoforma di immagini di repertorio, tratte da riprese giornalistiche o amatoriali, che hanno come protagoniste assolute le persone, colte nei momenti più significativi della loro esistenza, resi tali da eventi importanti o, semplicemente, dalla forza dell’impegno profuso in una particolare attività. In ogni segmento dell’opera, il criterio applicato nella selezione e nel montaggio dei filmati è quello della rigorosa aderenza al tema, estesa, però, ad una visione universale, che abbraccia tutte le aree geografiche e le epoche storiche. L’unità nella diversità è il principio emergente da questo caleidoscopico viaggio attraverso il mondo della gioia e del dolore, o semplicemente dell’attesa, che, nelle diverse zone del pianeta, celebra i suoi riti imitando la multiforme varietà della natura ed assecondando le differenze culturali. E se contrasto c’è, questo non impedisce, però, di riconoscere, nelle singole istantanee, i tasselli di un’unica gigantesca composizione artistica, in cui le linee cambiano direzione ed i colori si trasformano solo per rendere visibili le forme di un disegno. Non è un caso se, nel documentario, i passaggi tematici avvengono in maniera fluida ed impercettibile, rispettando una continuità che rispecchia quella del divenire del cosmo, in cui gli estremi opposti sono collegati da un percorso complesso, a volte contorto, ma del tutto privo di salti. Questo è modellato su un’armonia ricca di energia dinamica, ma dai contorni morbidi, che non si addice alla dura ritmicità della parola, ma soltanto alla carezzevole pulsazione della musica. Infatti il documentario è muto, e commentato soltanto dalle note di una composizione (di Jonny Greenwood, dei Radiohead) che sembra direttamente scaturita dallo scorrere delle suggestioni visive. Bodysong è una ballata da cantastorie esplosa in una grande sinfonia, che vuol mostrare tutto sulla scia dell’entusiasmo e di un amore incondizionato per la vita: e per questo motivo, nonostante il contenuto estremamente esplicito dei filmati, non viola ma i limiti della delicatezza e della discrezione. Così, dall’inizio alla fine, ci incanta con le sue tante immagini, alcune meravigliose, altre terribili, tutte emozionanti.
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