Regia di Marleen Gorris vedi scheda film
Unione Sovietica, 1934: la macchina repressiva staliniana dà l'avvio alle grandi purghe, che riguarderanno capillarmente tutti i gangli della società. Evgenija Ginzburg, insegnante di letteratura all'università di Kazan, Repubblica del Tatarstan, si sente al riparo da qualsiasi contestazione, sia perché è ortodossa e si astiene da pubbliche prese di posizione, sia perché è sposata (la coppia ha due figli maschi, tra i cinque e gli otto anni) con un funzionario del partito. Una mattina viene arrestato dalla polizia Krasny, collega ed amico di Evegenija, con l'accusa di trotzkismo e quindi di terrorismo. Cominciano a susseguirsi gli arresti nell'università di Kazan e la stessa Evegenija viene messa sotto accusa, per il suo rapporto di amicizia e colleganza con Krasny, e per non averne disapprovato gli scritti. Intanto Pavel, il marito di Evgenija, tenta di ingraziarsi il dirigente locale del partito, l'intransigente stalinista Bejlin. Ma è proprio quest'ultimo a tramare affinché la protagonista sia prima allontanata dall'insegnamento e poi processata per terrorismo, per una sorta di concorso morale nell'assassinio del dirigente comunista Kirov, avvenuto a Leningrado proprio nel 1934. Condannata a dieci anni di prigione dopo un processo farsa durato sette minuti, Genja apprende prima di essere stata denunciata da Krasny, poi di essere stata subito ripudiata dal marito, il quale, forse, non è estraneo alle sue disavventure giudiziarie. Dopo due anni di detenzione in completo isolamento, la donna viene inviata in un gulag in Siberia, dove, oltre al freddo tremendo d'inverno, le prigioniere subiscono le violenze e le umiliazioni dei guardiani e degli aguzzini.
Passa il tempo e arriva la Seconda Guerra Mondiale, che non coinvolge questa parte dell'umanità, costretta unicamente al duro lavoro nei boschi. Genja apprende nel frattempo che il figlio più piccolo Vasha (da grande diventerà un noto scrittore: Vasili Aksenov) sta bene e vive presso i nonni, mentre il figlio maggiore Aliosha è morto di stenti durante l'assedio di Stalingrado. La donna conserverà per sempre una sensazione di rimorso verso il suo figlio più grande, perché l'ultima volta in cui lo aveva visto, prima di andare a farsi processare, lo aveva aspramente rimproverato di mangiare troppe caramelle e di rovinarsi i denti.
Nel frattempo, lo stalinismo divora i propri figli, com'era successo anche durante la Rivoluzione Francese, ed anche Pavel cade in disgrazia, mentre perfino Bejlin va a finire i propri giorni nella sezione maschile dello stesso gulag in cui è rinchiusa Genja. Sopravvissuta con l'unica speranza di rivedere il figlio superstite, la protagonista si rifà una vita con un medico conosciuto nel lager e sarà riabilitata solo dopo la morte di Stalin.
La regista olandese Marleen Gorris affronta un argomento sempre difficile, e peraltro già ampiamente sfruttato al cinema, con abilità ed estremo pudore, riuscendo a far percepire l'angoscia vissuta dalle possibili vittime del terrore staliniano, pur portando avanti la scelta di non mostrare esplicitamente torture e massacri (quando ascolta la sentenza che la condanna a dieci anni di lager, la protagonista, tirando un sospiro di sollievo, esclama «allora mi libereranno!»).
Molto brava Emily Watson, credibile ed espressiva nella parte affidatale dalla regista.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta