Regia di Emilio Estevez vedi scheda film
https://www.youtube.com/watch?v=o16IcPXItlo&index=2&list=PLbcBUqueELH7sxKlFJN298GPjp6KrhKxX
La vita non si sceglie. Si vive.
Un “baby boomer”, tutto libera professione e country golf, si mette - per una ragione razionalmente inspiegabile - in cammino.
La strada è lunga e non è possibile, con tutto l’impegno che ci si possa mettere, percorrerla da soli.
Così, mano a mano, si accodano, quasi per dispetto, alcuni pellegrini un po’ sui generis.
Lui mal sopporta e prosegue, ma arriverà il momento in cui questi verranno chiamati a ricambiare il favore.
In seguito, uno spiacevole incidente offrirà l’occasione per gettare un ponte non solo di relazioni “interne” (al gruppo), ma anche di relazioni “esterne”, con il mondo dei detestabili “intoccabili” d’oggi (gli zingari, che, nella migliore delle ipotesi, paiono tutti solo ladri). Anche del tentativo di riconciliazione con tale popolo si nutre il film.
Quando poi il cammino volge al termine e giunge il tempo di onorare la parola data, la vera natura dell’uomo - fondamentalmente infingardo - si rivela.
Il ritorno sui propri passi trattiene qualcosa dell’esperienza vissuta.
Qualcosa raccolto e dato lungo la strada.
Qualcosa di sé stessi che nulla al mondo potrà mai cancellare.
Che sia un difetto estetico o un vizio.
O, finanche, l’essenza stessa di un figlio, lasciato andare.
Alcune parole, alcune immagini ed il significato di entrambi trasmettono molto ed in profondità.
E fanno davvero crescere il desiderio di seguire gli stessi passi dei protagonisti del film (e di milioni di autentici pellegrini che per secoli hanno battuto quelle terre).
La verità è un’altra; meno “romantica” ed idealizzata.
Le contraddizioni (o semplicemente le lacune) della trama si avvertono tutte (una per tutte: la penuria di soldi, da parte di Tom/M.Sheen, necessari per pagarsi la cauzione… che però non gli impedisce di offrire il pernottamento in un hotel di lusso agli amici); inoltre, immersi nella suggestione di molti paesaggi da cartolina, schematismi da “trekking road movie” e spruzzate di stereotipi vecchi e nuovi ridimensionano alquanto la velleità di affrescare un sentimento universale - spirituale ma demistificato - di (ri)scoperta di sé (Raffaele92) e rielaborazione del lutto.
Ci si deve accontentare di una struttura e di contenuti semplici, ma che almeno non sacrificano mai la dignità della storia. Artificiale senza essere artificiosa.
Last but not least, ad impreziosire il quadro contribuisce la splendida colonna sonora di T.Bates. Fra sonorità country, indie folk e fandango, essa fa strada ad una poetica rustica e soave; e tocca tasti e sfiora corde che fanno vibrare le giuste sensazioni, in perfetta sintonia con il leitmotiv della narrazione.
Tutta (dalla prima all’ultima traccia) da gustare.
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