Regia di Emilio Estevez vedi scheda film
Emilio Estevez, il regista del film, ha mostrato una certa temerarietà (o presunzione?) per aver voluto tornare lungo la strada del Cammino per Santiago di Compostella, dopo l’illustre precedente di Luis Buñuel, che di quel viaggio e di quella meta aveva dato una lettura personalissima, laica e originale.
E’ possibile, tuttavia, che Estevez abbia semplicemente seguito la suggestione di un luogo famoso e molto turistico per creare un film che, pur con qualche velleità mistica e filosofica, è la storia di Tom (Martin Sheen), sventurato padre che lungo quel tragitto aveva perso il figlio Daniel (interpretato dallo stesso regista) – per un incidente – e che decide di percorrere la Via Lattea per comprendere meglio le ragioni che avevano indotto il giovane a un viaggio così bizzarro, almeno per lui, rispettabile signore californiano, tutto oftalmologia e golf.
Il suo viaggio ne testimonia l’imbarazzo da americano medio sia per la ricchezza dei riferimenti culturali, di cui gli sfugge il significato, sia per la bellezza degli edifici sacri e profani con cui entra in contatto.
I pellegrini incontrati per caso - che accompagnandolo e dandogli, ciascuno a suo modo, solidarietà concluderanno con lui il lungo cammino – testimoniano, a loro volta, che coloro che oggi compiono quel viaggio sono mossi dalle più disparate motivazioni, che hanno poco a che fare con la ricerca religiosa: anche per loro, della strada percorsa rimane soprattutto il ricordo del paesaggio, molto bello, e delle chiese, dei chiostri e dei palazzi che costituiscono le diverse tappe “ufficiali” del Cammino.
Un po’ turistico, un po’ intimistico, dunque, e connotato dal senso di colpa di un padre che tardi scopre di non aver mai conosciuto davvero quel figlio, il viaggio trova la propria accettabile giustificazione per il pubblico americano, per lo più ignaro che per secoli, da tutta l’Europa cristiana, raggiungessero Santiago folle di pellegrini alla ricerca del santuario in cui pare avessero trovato custodia le spoglie, miracolosamente ricomparse, del primo apostolo di Cristo (Giacomo), e che la storia di questi pellegrinaggi si fosse intrecciata con la storia stessa della Spagna, la cui identità era nata, purtroppo, anche all’insegna dell’intolleranza religiosa.
Non è un caso che lungo quella strada si trovassero - e si trovino- anche monumenti funebri e ricordi dei personaggi che furono a lungo considerati i simboli della Reconquista, dalla tomba del Paladino Orlando a Roncevaux, prima tappa di chi va a Santiago attraverso i Pirenei francesi, alla tomba del Cid Campeador, l’eroe nazionale e religioso degli Spagnoli, a Burgos, fino alla Basilica di Santiago in cui l’apostolo viene celebrato come il Matamoros, uccisore dei Saraceni (Moros), additati come responsabili di ogni guaio della Spagna e cacciati con gli ebrei, attraverso una spietata “pulizia etnica”, dalla fine del XV secolo.
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