Regia di James Wan vedi scheda film
Una famiglia wasp, un trasloco, una nuova casa, oscure presenze. James Wan e Leigh Wannan, coppia enfant prodige del cinema horror statunitense (galeotto fu Saw), armeggiano il filone casa infestata con efficace sobrietà, insinuando prima, giocando con i suoni poi, infine affidandosi alle ombre, mentre si palesano alcuni nodi pseudopsicologici ancora lontani dal pettine. Poi Insidious vira, repentinamente, con l’ingresso in scena di due individui caricaturali, in odor di parodia, che aprono le porte a una seconda parte caratterizzata dal doppio segno: riproposizione tesa di atmosfere orrorifiche anni 80 figliate da Poltergeist e, insieme, messa in esasperazione delle stesse, seriosa irrisione. E mentre il rimosso delle figurine bidimensionali torna a galla, i due côté convivono, stretti nelle medesime immagini, in un film che sa di giocare con il già visto e con l’ottusità degli stereotipi del genere e, al contempo, cerca di reinventare quelle forme antiche, con il fine per cui è stato creato: la paura. Con il bigino del Perturbante di Freud ad aleggiare dietro ogni scelta narrativa e registica, Insidious è assimilabile ai macabri oggetti animati che Wan mette sempre in scena, un prodotto meccanico e simulacrale: il dispostivo si muove, angoscia, ma è un esercizio di stile usa e getta, totalmente privo di anima. E così il mancato happy end non riesce a stupire: perché quando si gioca con i pupazzi, è facile decidere di farli morire.
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