Regia di James Wan vedi scheda film
Le idee ci sono, e gli spaventi pure, in questa versione anni duemila del “film per non dormire”. L’atmosfera, a dire il vero, è un po’ asettica, come se fosse filtrata attraverso i pixel delle immagini digitali; eppure anche questa pulizia visiva, in fondo, è funzionale all’effetto straniante di una mostruosità patinata, che si specchia nella superficie cristallina del tempo presente, con la sua normalità da spot televisivo in formato famiglia. Gli spettri colorati che, come manichini ghignanti od orrendi bambolotti, fanno capolino tra i mobili moderni e le pareti candide di una casa della middle class dei giorni nostri, sono la nuova formula della paura, basata sull’azione destabilizzante dei contrasti improvvisi, quelli attraverso cui l’incubo irrompe, come elemento surreale, nella tranquilla uniformità della consuetudine. A terrorizzarci più di ogni altra cosa è ciò che non conosciamo, che risulta fuori posto, che viene non si sa da dove: nelle paranoie contemporanee, è soprattutto la comparsa dell’intruso, in tutte le sue forme, a provocare ansia e a scatenare il panico: il soggetto disallineato è ciò che arriva per confonderci e magari – così crediamo noi – per scalzarci dai nostri ordinatissimi ranghi. Lo spirito maligno è, per tradizione, un insidioso invasore, la cui intenzione è sostituirsi a noi nel controllo della nostra vita; ma il brivido, un po’ puerile, provocato dalle case infestate e dalle possessioni demoniache non è ormai più adeguato a rappresentare l’odierna ossessione per la privacy e la sempre più accentuata fobia per la diversità comunque intesa. Ecco perché, pur prendendo spunto da questi temi classici, James Wan e Leigh Whannell (i creatori di Saw) realizzano una storia che si spinge oltre i soliti racconti di fantasmi, per proporci una concezione più concreta ed inquietante dell’anima persa e dell’aldilà terreno: un qualcosa che non è semplicemente attaccato alle pareti o nascosto nell’armadio, perché dimora veramente in mezzo a noi e – come ci sembra terribile pensare – mette le sue mani estranee nella nostra intimità, fino a toccare la nostra stessa carne.
Dopo il successo di pubblico negli USA, questo film è probabilmente destinato a dividere gli animi. A molti non piacerà, vuoi per quel minimalismo che potrebbe essere scambiato per superficialità, vuoi perché la presenza di Oren Peli tra i suoi produttori rischia di farlo apparire come un lontano parente di Paranormal Activity. In ogni caso va premiato l’impegno di attualizzare l’horror senza ricorrere al facile espediente dei riferimenti tecnologici, e senza intellettualismi che potrebbero stravolgerne il carattere ingenuo e l’origine primitiva. Insidious rimane fedele all’essenza di un genere cinematografico che punta tutto sull’emotività spicciola, utilizzando esclusivamente la visione come porta d’accesso ai nostri ancestrali timori. E intanto trasferisce la sede di questi ultimi, dai luoghi oscuri e misteriosi del mondo, al nostro ambiente domestico, che – come le cronache non smettono di ricordarci - è costantemente assediato dall’esterno, ed anche dall’interno, dalle minacciose ombre della diffidenza e dell’avidità.
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