Regia di Charles Edwards vedi scheda film
Superball (“The ring” in originale) è una pellicola che risale ai primi anni ’70 (fu girata in America fra il 1973 e il 1974) e presumo che la sua realizzazione sia stata resa possibile grazie alla salubre ventata di “liberazione” sessuale postsessantottina, che aveva spazzato via molti dei tabù e delle limitazioni precedentemente imperanti.
Nonostante l’interesse e lo scalpore anche “scandalistico” che aveva suscitato in patria (o forse proprio per questo), la pellicola faticò però moltissimo per arrivare sui nostri schermi dove approdò solo nel 1978, naturalmente tutt’altro che integra. Ripetutamente bloccata dai divieti censori dell’epoca, per ottenere alla fine il suo sdoganamento, il distributore italiano fu infatti costretto a pagare un prezzo molto salato, accettando i “pesanti compromessi accomodativi” impostigli, finalizzati a riportare il tutto “nell’ambito della decenza” e non oltraggiare così “il comune senso del pudore”, come si era soliti dire allora. Fu necessario quindi “tagliare”, “addolcire” e “rielaborare” molte cose (scene e dialoghi) per arrivare finalmente ad avere una versione “accettabile” anche per quel nefasto istituto, sia pure con l’imposizione del divieto ai minori, ma ovviamente abbastanza infedele e fortemente edulcorata rispetto all’originale. Ridotto in tali condizioni, il film ebbe quindi inevitabilmente scarsa risonanza e altrettanti negativi risultati al botteghino (in termini di presenze e di incassi) tanto da sparire prestissimo dal mercato per perdersi nel nulla a causa non solo del marginale impatto che era riuscito ad avere sul nostro immaginario (erotico e non) ma anche e soprattutto per quell“indigesto” (e ormai quasi inutile, visto che il più era stato eliminato) divieto che ne impediva persino un possibile sfruttamento televisivo “a causa dei suoi contenuti eroticamente espliciti” anche se ormai abbastanza edulcorati. A noi è stata comunque concessa solo la fugace visione di quel lontano e “amputato” reperto, ed è a quello che dobbiamo riferirci e del quale possiamo parlare per “risvegliare il ricordo”, visto che del titolo non se ne trova ormai traccia né sul Mereghetti, né sul Morandini, e che l’unico riferimento “certo” che ne conferma la sua effettiva esistenza (a un certo momento mi era sorto persino il dubbio che il film fosse semplicemente il frutto della mia fantasia), l’ho rintracciato sul Farinotti (che fra i tanti difetti e i macroscopici pressappochismi, almeno un merito ce l’ha per giustificare la sua presenza sul mercato, quello di essere la guida certamente meno significativa, ma comunque la più rappresentativa per il numero complessivo dei di titoli riportati, un primato che le deriva però esclusivamente dall’essere direttamente collegata a IMDB. Comunque anche il Farinotti liquida il film molto sbrigativamente con due stellette limitandosi (come al solito) a riportare una semplice traccia della storia che con molta approssimazione sintetizza così: “Un regista senza lavoro accetta di girare una pellicola pornografica. Sua moglie si fa coinvolgere dall’atmosfera del set e lui, sconvolto, abbandona la troupe e si dedica a un film di sua ideazione, imperniato su una donna sposata che viene assassinata col suo amante”. Manca quindi completamente un adeguato (e mai come in questo caso davvero “necessario”) supporto di “conoscenza valutativa” capace di definire a posteriori l’effettivo valore dell’opera, o meglio della pallida idea che è circolata in Italia, probabilmente incapace di rendere completa giustizia rispetto a ciò che in effetti aveva fatto e cercato di trasmettere al pubblico il regista. Anche di lui per altro si è persa ogni traccia (o almeno io non sono stato capace di trovare alcuna notizia sul “prima” e sul “dopo” di questa singolare e lontana operazione che ritengo non sia stata la sua unica performance nel settore). Mi riferisco a Charles Edward (Edwards per altre fonti), perché è questo è il nome del coraggioso e trasgressivo autore della pellicola del quale non sono riuscito a recuperare nemmeno adeguate indicazioni biografiche.
A questo punto dunque devo ritenere di essere uno dei pochi sopravvissuti (per motivi anagrafici si intende) che avendo avuto la fortuna di vedere il film, è riuscito a mantenerne abbastanza vivo il ricordo, insieme alla voglia di rivederlo. Per rendere una pallida idea di ciò che probabilmente era in originale Superball (e fatte le debite riserve perché c’è di mezzo non solo la mediazione dell’ipotesi fantasiosa non avendo effettivamente visto il “prototipo”originale, ma anche il lungo lasso di tempo intercorso, e il cambiamento dei gusti e delle percezioni intervenute nel frattempo) potremmo a mio avviso provare a immaginarlo come una specie di “Shortbus” degli anni ‘70 non perché ci siano analogie dirette, ma perché entrambi i titoli hanno avuto l’intuizione e il pregio di utilizzare, ciascuno a suo modo, la rappresentazione visiva del sesso esplicito, per portare avanti attraverso di essa un discorso più ampio sulla società e sui coinvolgimenti emotivi dei rapporti interpersonali).
La mia memoria è stata in questa circostanza più labile che in altri casi, ed ho dovuto faticare abbastanza per far riemergere dall’oblio prima il titolo, e poi i suoi contenuti, anche se poi sono state molte le cose che sono riuscito a ricomporre nella mia mente. E’ ritornata per esempio abbastanza nitida la percezione di un film provocatoriamente pungente e personale, assolutamente fuori dai canoni del periodo, sia pure realizzato con uno stile piuttosto sbrigativo e bisognoso di evidenti affinamenti, anche se il tempo trascorso è davvero eccessivo perché possa azzardarmi a dire qualcosa di più come ho fatto recentemente in occasione di un altro titolo “invisibile” come Il disertore e i nomadi. Preferisco quindi – del resto ho già fatto anche in tale circostanza - stimolare qualche ulteriore curiosità al riguardo, affindandomi alle parole di un critico blasonato e al di sopra delle parti come Tullio Kezich, uno dei pochi che, a quanto mi consta, abbia avvertito a suo tempo la necessità di esprimere un giudizio: “A Hollywood, nei primi anni ’70, Steve, laureato in cinema, batte inutilmente alle porte della Paramount, della Columbia e di altri stabilimenti in crisi. Attraverso un annuncio su “Variety” trova finalmente un produttore marpione che gli offre di fare film pornografici. Per il protagonista l’impatto col mondo degradato della prostituzione in 16 millimetri è abbastanza traumatizzante. Il momento veramente critico, quello di “rottura”, avviene peròquando il produttore, impadronitosi di un soggetto del regista, ne vorrebbe trarre un film alla sua maniera impiegandoci dentro anche la curiosa moglie del regista . Steve punta i piedi, tenta di mandare tutto all’aria e subisce persino una feroce bastonatura per questo. Passata la nausea per il cinema, lo vedremo girare una specie di ‘Billy Lack’ in chiave di sesso e violenza (che rappresenta la sintesi del discorso). Tra ironia e compiacimento, “Superball” è uno strano film che accoppia al più spregiudicato hard core in gran parte edulcorato nell’edizione italiana, un certo genere di riflessioni su se stesso (il pianeta cinema e il complesso universo di uomini e cose necessarie per realizzarlo e tenerlo in piedi). La raffigurazione del mondo dei porno-film, squallida come un referto, non ignora la lezione di Warhol; e l’ambiente della Mecca del cinema sembra proprio la versione degradata di un romanzo di West o di Fitzgerald. Lo sconcertante risultato è quello di un film grossolano ma neurotonico con una tesi sottile a favore del porno. Infatti il talento di Steve appare inquinato fin dal suo saggio universitario da una vena di morbosità, che trova lo sbocco nel film ‘normale’ girato alla fine. Se tutto il cinema d’oggi è un’espressione malata, sembra voler affermare Charles Edward con “Superball”, il porno ne rappresenta l’ambito in cui si dice pane al pane senza ammantarsi dietro falsi intellettualismi”.
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