Regia di Cristiano Ceriello vedi scheda film
L’ultimo film aderente al manifesto Dogma 95 è una produzione italiana. È il numero 35, registrato un anno prima della conclusione del progetto cinematografico lanciato da Lars Von Trier. Ed è un’opera che applica alla lettera le prescrizioni tecniche del manifesto danese: film a colori, camera a mano, nessuna colonna sonora, suono in presa diretta, niente luci artificiali, bando alla scenografia. Il film di Cristiano Ceriello è un dramma spoglio, ma non per questo meno intenso, ed è una storia “diversa”, ma non per questo meno reale. Ambientata nella Napoli dei giorni nostri, vede intrecciarsi due vicende di solitudine e disperazione: quella di Cristiano, un giovane disoccupato che ha perso i genitori quando era adolescente, e Flaviana, una donna in crisi, afflitta da problemi che diverranno chiari solo verso la fine. A fare da anello di congiunzione tra i due è la singolare figura di Lucio, un venticinquenne autistico, fratello minore di Cristiano, e nuovo amico “per caso” di Flaviana. Per il primo, Lucio è la persona indifesa che necessita di assistenza, ma che lui, senza soldi e senza aiuto, non sa come accudire; per la seconda, è invece il ragazzo che occorre sforzarsi di capire e di amare. Bisogni concreti e desideri immateriali sono i volti, maschile e femminile, della ricerca della felicità, che, mai come in questa circostanza, prescinde dai canoni di “adeguatezza” e di “normalità” della persona. Gli impulsi del corpo e gli aneliti del cuore sono sogni non commercializzabili, ben diversi dagli oggetti in vetrina che si comprano o dalle immagini televisive che fanno audience: e per questo vivono, in maniera forse più libera e genuina, anche in un individuo “impresentabile”. Lucio è l’espressione pura di questa voglia di esistere ed essere importante, che sfida, inconsciamente, i comuni criteri della convenienza e del do ut des: quelli che traducono l’eleganza di un paio di scarpe in un prezzo in denaro, e misurano la credibilità di un messaggio sulla sua spendibilità presso il grande pubblico. Tutto ciò che, in questo film, può apparire melodrammatico, con punte di retorica o di sdolcinatezza, è un tributo all’umanità che, privata di tutto, parla il linguaggio urlante dell’anima, ben lontano dalla teatralità preconfezionata dei mezzi di comunicazioni di massa. Quella che in vario modo, emerge dai tre protagonisti, è una voce antica, che le sofisticazioni mediatiche ci hanno fatto dimenticare, ed in parte hanno addirittura ridicolizzato: è l’eco della tragedia greca, dell’epica classica e della favola romantica, la cui sostanza non è fatta, come si crede oggi, di grandezza e nobiltà, bensì di miseria e di dolore, come per Ulisse lontano da Itaca, o per tutte le fanciulle belle e tristi, e per tutti i “mostri” che, senza speranza, se ne innamorano.
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