Regia di Rocco Mortelliti vedi scheda film
Andrea Camilleri è un giallista. O forse no, non nel significato usuale del termine. Peculiare è infatti il senso che attribuisce al mistero: non un intricato problema da risolvere con il ragionamento, bensì il fantasma di una Sicilia in cui tacere e confondere le acque è il modo per mantenere intatta la magia di una terra che seduce con i suoi silenzi, mantenendo sempre a debita distanza le vittime delle sue arcane malie. Ci conquista mostrandosi coperta da veli poco rivelatori, spessi come sacchi di iuta, ma preziosi come gli abiti della domenica delle dame aristocratiche dei bei tempi. Il segreto del suo fascino è la sua grazia primitiva e tenebrosa, incastonata come una gemma grezza nel tessuto a buon mercato della nostra modernità. Questo contrasto è all’origine di quel chiaroscuro irrealmente sospeso tra la terra natia e la vastità del mondo, la fonte di una natura ancestrale imbastardita dall’universalità che si mette inopportunamente a spiare quel regno incantato. La sfida – per il lettore, per il commissario Montalbano o, come qui, per il maresciallo della benemerita Paolo Giummaro e per il delegato di pubblica sicurezza Ernesto Bellavia – è fendere quella penombra con un’intuizione fiabesca, per scoprire una verità squallidamente umana ed attuale camuffata nelle antiche e gloriose vesti del mito. Il ragioniere Antonio Patò scompare dal palcoscenico del mortorio – la rappresentazione della Passione nella piazza di Vigata – mentre recita la parte di Giuda Iscariota. Sparisce il personaggio biblico, che finisce impiccato dentro una botola, e con lui si dissolve nel nulla anche l’attore, un bancario di paese, un marito e un padre di famiglia. Nelle indagini rimangono coinvolti contadini analfabeti della zona e grandi dottori del continente, noti signorotti locali ed ignoti banditi senza patria, nobili bigotti e villani sacrileghi, tutti protagonisti di una storia confusa perché inquieta ed indecisa, volutamente ambigua, studiatamente divisa tra la fiducia nei tradizionali valori e fantasiose leggende in grado di spalancare abissi di sospetto. Il film di Rocco Mortelliti onora questa ammiccante ambivalenza storica unendo la spigliatezza da sceneggiato televisivo – impersonata da un Nino Frassica carabiniere, preso direttamente in prestito dalla serie di Don Matteo – con l’attenzione ritrattistica tipica del cinema d’autore, che qui si traduce in un gusto spiccato per il colore sporco del dialetto e della cultura rurale. Nella ricca bibliografia di Camilleri, la pittoresca parlata sicula si fonde con l’italiano romanzesco, che diventano complici nel generare un originale effetto ironico e caricaturale, da comicità cabarettistica intinta nella corposo succo della commedia popolare. È questo il mix vincente che ritroviamo qui, in un girotondo stilistico che abbraccia la litania del cantastorie e la battuta del varietà, nella convinzione che nulla è più autentico della realtà che si nasconde e si reinventa, indossando un bizzarro costume teatrale.
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