Regia di Jonathan English vedi scheda film
Appena ho afferrato la presenza di un templare, mi sono subito arreso all'idea di non dovermi aspettare chissà quale rispetto della verità storica dei fatti. Ero pronto al peggio, ma in realtà è poi andata meglio, in confronto ai miei timori. Non ci si è per fortuna addentrati nell'esoterismo che purtroppo attanaglia tanti ridicoli film su quei bistrattati cavalieri, similari e affini, a partire e sull'onda del libro Il Codice da Vinci. Rimane comunque forte l'impressione di una pesante rielaborazione, del romanzato e dell'immaginoso. Non che avessi la pretesa dell'attendibilità di un documentario, ci mancherebbe. I difetti sono altri.
La sceneggiatura. Elencare tutti i problemi sarebbe alquanto tedioso, talmente numerosi sono. La trama è di una scontatezza disarmante, per quanto è semplice prevederne ogni risvolto molto prima che accada. Certi passaggi appariranno forzati appunto perché dovrà essere raggiunto il finale classico intuibile già all'inizio. E il goffo svolgimento degli stessi non può non prestare il fianco a facili critiche. Velo pietoso su alcuni dialoghi, che vorrebbero essere profondi e altisonanti, mentre invece si perdono nel vuoto.
I personaggi. Nella maggior parte dei casi sono dimenticabili, quando non sono stucchevoli. La recitazione anonima della quasi totalità del cast non aiuta certo a risollevare le sorti di un'infelice scrittura. James Purefoy (Thomas Marshall), che a tratti sembra un cugino "povero" del collega Hugh Jackman, gioca al ribasso e si sforza nell'apparire il più possibile inespressivo. Inoltre il letargo catartico in cui sovente cade il protagonista, salvo risvegliarsi d'un tratto giusto quando occorre, lo rende una macchietta. Al pari, anzi peggio, è Paul Giamatti (Re Giovanni Senzaterra), che non convince manco se stesso in quel ruolo (figuriamoci lo spettatore). «Bello il suo volto ma velenoso il suo cuore, con il suo corpo lo invitava a peccare» è il riassunto perfetto della figura-soprammobile incarnata da Kate Mara (Lady Isabel). Il resto sul suo conto è ovvio (e scadente). Nel mezzo di una tale desolazione, non poteva non emergere Brian Cox (Barone d'Albini). Risalta per mero contrasto, laddove in un contesto normale sarebbe invece risultato abbastanza modesto, a fronte delle sue qualità altrove dimostrate.
Si salverebbero le sequenze d'azione, se non fosse che, a causa della carenza dei contenuti poc'anzi denunciata, l'intreccio appaia più come un mero pretesto per raffigurare tanta violenza gratuita. La durata considerevole e l'efferata crudeltà di diverse scene di questo tipo potrebbero (dis)turbare e urtare la sensibilità di qualcuno.
Inghilterra, 1215. Dopo essere stato spodestato dai Baroni e aver dovuto firmare la Magna Carta, Re Giovanni prova a riconquistare il Paese con la benedizione del Papa e con le spade di un esercito di mercenari danesi. Il Barone d'Albini e il cavaliere templare Thomas Marshall dovranno radunare un manipolo di combattenti valorosi nel disperato tentativo di rallentare l'avanzata dell'orda nemica, guidata dal malvagio sovrano, per permettere l'arrivo dei rinforzi francesi. La fortezza di Rochester diventerà teatro di una delle più cruenti battaglie che la storia inglese ricordi.
Niente male. Le musiche sono appropriate, dato che ben richiamano l'atmosfera. L'autore è Lorne Balfe.
Mi sarei risparmiato certi eccessi splatter, ma soprattutto avrei preferito un copione diverso.
Nelle scene d'azione può infastidire il suo montaggio frenetico, scattoso e caotico.
Un protagonista abbastanza insipido, è Thomas Marshall.
Il suo Re Giovanni Senzaterra si agita tanto senza mai incidere.
Un onesto e autorevole Barone d'Albini. Promosso senza debiti.
Una monocorde Lady Isabel, la solita donzella lussuriosa.
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