Regia di Ettore Scola vedi scheda film
Ettore Scola, oltre ad essere uno dei grandi cineasti del nostro Paese, probabilmente non giustamente considerato nonostante l’immensità della sua opera, è osannato dai francesi, che hanno sempre accolto i suoi film con entusiasmo. La nuit di Varennes, in qualche modo, è l’apoteosi nonché la conferma del suo rapporto privilegiato con la Francia, perché pone al centro della scena una vicenda fondamentale della storia d’oltralpe. Come La terrazza, è la storia di un gruppo, questa volta itinerante, colto nel momento della fuga dal mondo vecchio in disfacimento a causa dell’avanzata del mondo nuovo a cui allude il titolo italiano.
E, come nel film del 1980 (capolavoro complesso e difficile che decreta la fine di molte cose: della commedia all’italiana, del radicalismo chic, di un certa generazione auto compiaciuta che ha fallito in quanto fuori dal mondo reale), è la storia di un gruppo in decadimento, senza una reale ragione d’essere se non l’attaccamento a discutibili miti, usanze, costumi e consuetudini, convinto di poter continuare a vivere: in qualche modo, quello che intraprendono questi nobili è un viaggio della speranza ma allo stesso tempo della disillusione, in cui hanno modo di capire che c’è anche un altro mondo, lontano dai cliché usurati e dalle ipocrisie conclamate della vita di corte e dei grandi palazzi parigini. I vari Hanna Schygulla e Daniel Gélin, Andréa Ferréol e Laura Betti e compagnia sono indubbiamente dei personaggi decadenti, condannati sin dal principio ad una sconfitta della Storia, e, a parte Jean-Louis Barrault nel ruolo più idealizzato del film, è solo il Casanova di un disincantato Marcello Mastroianni ad essere consapevole della fine.
Lo sguardo di Scola, curioso ed analitico com’è (così come lo era quello di Sergio Amidei, all’ultimo script della sua splendida carriera), è affascinato ma anche distaccato e si scatena sommessamente nel momento in cui entra in scena il popolo (ma in realtà è la borghesia), il mondo nuovo, con un finale a suo modo drammatico in cui emergono la rabbia degli umili (la Rivoluzione Francese, certo, il giacobinismo, la sinistra), il potere di chi sa e conosce (i germi dell’illuminismo), la devozione ossessiva di chi non rinuncia ad un ideale (i realisti più realisti del re) e un tono crepuscolare e violento. È un film con tanta roba fisica e concreta (luoghi esaltati dalla luce naturale, costumi filologici, cura nei dettagli) ad alto costo che coniuga necessità autoriali e fasto produttivo (c’è la Gaumont dietro), e probabilmente un godurioso e nobile sfizio con cui il sor Ettore rivisita e ritorna su certi suoi temi cari. Scola è forse uno dei pochi cineasti davvero europei.
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