Regia di Jeff Nichols vedi scheda film
C’è un rifugio, nel centro geografico di Take Shelter, dove riesce a stare tutta l’America. È un banale rifugio antitornado, con lo spazio per ospitare, per pochissimo tempo, pochissime persone: un buco nel giardino di una casa normale, in un qualsiasi Stato americano dalle pianure sterminate e soggette alla furia degli elementi. Un padre della working class, la cui bimba sorda attende di potersi permettere il sospirato apparecchio acustico, sogna la Fine di tutto, una tempesta biblica che spazzerà via i residui di umanità, e improvvisamente quel buco nel giardino diventa nucleo perturbante di un’ossessione che orbita a velocità crescente. L’unica cosa che conta è il rifugio, è essere pronti quando la Fine arriverà, tutto il resto può essere sacrificato: i risparmi di una vita, il lavoro, le amicizie. Dove l’opera seconda di Jeff Nichols fa il salto di qualità rispetto ad altri film su cui aleggia una presunta apocalisse, è nell’approccio del protagonista alle visioni. Terrorizzato ma inamovibile, si butta a capofitto nella preparazione del rifugio, ma al tempo stesso cerca l’aiuto di un dottore e si affida alle pillole per cacciare i “sogni”, novella Cassandra alle prese con il lettino dello psicanalista. È lui il primo a dubitare delle sue visioni, tanto più terrificanti quanto sono sapientemente cucite nel tessuto della vita reale (anche grazie a un uso degli effetti speciali discreto ed efficace), lui il principale nemico di se stesso, pronto a dichiararsi schizofrenico sulla base di un elenco di sintomi scovati in un manuale. Asciutto e penetrante, il film di Nichols dice dell’America di oggi molto più di quanto sembri, tra le pieghe di una narrazione parzialmente di genere: la paura come motore scatenante, le assurdità del sistema sanitario, l’ossessione della protezione da una minaccia invisibile, sono in bella vista, buchi scavati nella superficie liscia delle villette familiari. Il quotidiano diventa orrore, senza soluzione di continuità, senza un passaggio fisicamente avvertibile: quando finalmente scopriamo se il personaggio di Michael Shannon (un’interpretazione maiuscola) sia un folle o un predestinato, non ha più veramente importanza, perché l’Apocalisse, forse, è sempre stata nel giardino di casa.
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