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Take Shelter

Regia di Jeff Nichols vedi scheda film

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La recensione su Take Shelter

di Kurtisonic
8 stelle

Curtis crede di percepire l’arrivo di minacce atmosferiche, è ossessionato da incubi ricorrenti, appartiene alla working class,  ha anche una vita apparentemente normale. In realtà non ha metabolizzato la sordità della piccola figlia, non accetta la sua diversità, né la possibilità di un suo miglioramento tramite un intervento chirurgico. Idealmente la bambina ha materializzato al mondo anche la disomogeneità del padre. Curtis, interpretato magistralmente da Michael Shannon, sa solo esprimere il desiderio di protezione e di chiusura verso il resto del mondo nei riguardi dei suoi cari, recupera e ricostruisce in giardino un rifugio sotterraneo in cui crede di salvare moglie e figlia da possibili pericoli incombenti. Le azioni disperate di Curtis, che lo porteranno verso la disgregazione dei suoi rapporti sociali, rappresentano la visualizzazione delle paure inconsce e collettive dell’uomo medio, fragile e indifeso di fronte alla malattia, alla povertà, alle diseguaglianze, alle avversità di ogni tipo. Il regista Jeff Nichols dosa abilmente codici linguistici da psicothriller, in un’atmosfera permeata di linfa  visionaria al limite dell’orrorifico  sempre sul punto di esplodere. La sequenza all’interno del rifugio durante una situazione allarmante  è straordinariamente efficace per come risulta straniante rispetto alla narrazione. Dopo un percorso esterno di osservazione e di continua riscrittura interiore dell’evoluzione di Curtis, lo spettatore si sente “fisicamente” collocato dentro il rifugio, completamente spiazzato dal cambio di registro dell’azione, in balia assoluta degli eventi in procinto di manifestarsi. Dunque come per tutto il film, messa in scena accurata, e ambientazioni suggestive nella loro normalità conferiscono a Take Shelter un respiro misterioso e di svelamento definitivo che è destinato però a risolversi in modo alquanto inatteso. Curtis simboleggia un malessere comunicativo e relazionale che l’uomo-massa odierno è destinato a fare convivere dentro di sé, occultandogli se ce ne fossero, i contatti positivi (la moglie, la figlia, l’amico e collega ne sono la prova tangibile), mentre egli è socialmente obbligato all’azione, per tendere ad una convenzionale normalità che con i suoi modi di essere apparirà agli occhi degli altri all’esatto opposto. La traccia allucinatoria gestisce la sua irrazionalità, le sue visioni ossessionanti prendono il sopravvento finchè non si saprà se rappresentano la condanna o la salvezza della sua e dell’altrui esistenza. Il messaggio che il film trasmette è di un’inquietudine profonda, di un disagio forse ingestibile, che non si corregge né con i sentimenti, né con la ragione. Emerge un quadro drammatico d’isolamento dell’essere umano, separato non solo dalla natura ma dal suo stesso genere, che cogliendo la superficie della sua diversità lo abbandona a sé stesso, dentro o fuori da qualsiasi rifugio.   

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