Regia di Pablo Giorgelli vedi scheda film
Rubén è un autotrasportatore carico di legna d’acacia e malinconia infinita, Jacinta una madre sola che con lui attraversa il confine paraguiano, diretta verso Buenos Aires. Al petto stringe la figlia neonata, anche se questi non erano gli accordi. Sulla strada, nella cabina stretta del veicolo, i due si conoscono, poco a poco, sciogliendo dolcemente le asprezze delle rispettive solitudini, disinnescando i rigidi sistemi di autodifesa per i loro cuori feriti. Caméra d’or a Cannes 2011, da noi con due anni di ritardo ed è inutile chiedersi il perché, l’esordio del quarantacinquenne argentino Pablo Giorgelli fa di modestia virtù: in uno stile piano dalla flemma serena e dolente racconta semplicemente di un incontro tra anime rassegnate al proprio scontento, e lo fa attraverso l’accumulo di dettagli, particolari, gesti minuscoli e lenti slittamenti emotivi, in un discorso totalmente incentrato su ciò che esprimono i volti degli attori, sulle pause, sulle parole goffe e trattenute, su quello che non dicono. Sulle esitazioni di un attimo, sulle gentilezze inattese. E se i silenzi dei protagonisti sono agli antipodi della logorrea dei viaggi amorosi di Linklater, precipitati muti di un mondo che non sa che farsene del gioco linguistico, è indubbio che su questo delicato road movie minimalista pesi la propria stringente programmaticità: Rubén non ha moglie e non ha suo figlio con sé, Jacinta non ha un marito e con lei c’è una nuova creatura; il viaggio ha destinazione certa, come fosse chiuso in un grazioso teorema.
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