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Las acacias

Regia di Pablo Giorgelli vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Las acacias

di laulilla
7 stelle

Questo è un film difficile da vedere: lo fu all’uscita in Italia, dove per brevissimo tempo lo vedemmo – in pochi – tre anni dopo il tournage; lo è ora: neppure lo streaming sembra occuparsene. Eppure fu premiato con la Camera d’oro a Cannes nel 2011.

 

L’acacia sembra una pianta delicata con le sue piccole foglie e l grappoli di fiorellini profumati, ma è una pianta robustissima: gli uomini tagliano il legno compatto dei suoi tronchi, sapendo che dalle radici, affioranti dal terreno, spunteranno presto nuovi getti, polloni, gemme e fronde, quasi a difesa del diritto dell’albero a vivere ancora.

Il quadro da cui muove la vicenda è una foresta paraguayana, dove – fra lo stridore assordante delle seghe elettriche, le scintille e il fumo – un buon numero di acacie viene abbattuto fino alla radice o quasi. I tronchi, a loro volta ridotti alle dimensioni che ne rendano praticabile il trasporto, sono caricati e legati sui camion, per raggiungere la loro destinazione.

Ruben (German de Silva) è un camionista in attesa di partire: deve andare, come sempre, a Buenos Ayres col suo carico di legname, ma questa volta, su richiesta del padrone del veicolo che guida, dovrà portare con sé una donna che vorrebbe raggiungere alcuni parenti nella capitale argentina. Ecco quindi comparire Jacinta (Hebe Duarte), giovane donna alta e bruna, che porta con sé, inaspettatamente, oltre ai due borsoni da viaggio, una bimba di cinque mesi, che si chiama Anahi (meravigliosa la piccola Nayra Calle Mamani), e che si rivela più ingombrante di qualsiasi bagaglio, più esigente di qualsiasi viaggiatore.

La piccola, infatti, coinvolgerà con i suoi problemi anche il riluttante camionista, costretto a fermarsi più volte controvoglia: i suoi pianti esprimono esigenze elementari, che non è possibile ignorare, essendo impellenti la fame, il cambio del pannolino, il fastidio per il fumo.

Ruben è un uomo inselvatichito da lunghi anni di solitudine e, probabilmente, da molte delusioni che gli hanno indurito il cuore: non ama parlare di sé, riaprendo vecchie ferite. Altrettanto riserbo esprime Jacinta, che dice però una cosa con chiarezza: “Anahi non ha un padre”, lasciando intendere che della propria storia dolorosa preferisce tacere.

Furtivamente, Ruben la vedrà piangere amaramente mentre telefona a qualcuno nella cabina di una stazione di servizio, ma il suo aspetto sereno, al ritorno, blocca sul nascere qualsiasi curiosità di lui, semmai ci fosse stata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo è un film silenzioso, in cui l’espressione degli occhi e la mimica contano più delle parole: grazie al silenzio si percepiscono i rumori della natura, del lavoro umano, dello scorrere della strada e si comprendono anche le ragioni di Anahi, che sono quelle della vita che si afferma prepotentemente, come è giusto che sia. Il silenzio aiuta a capire, forse, che quell’uomo e quella donna hanno preteso troppo da se stessi e che potrebbero, lasciandosi alle spalle i dolori del passato, percorrere ancora un po’ di strada insieme, ricominciando da capo, come l’acacia quando si rinnova dalle radici. Forse...

 

Film bello e poetico, il cui segreto è nel montaggio eccellente, che, alternando alle poche parole i lunghi ma eloquenti silenzi, diventa funzionale al racconto pudico di due vite difficili, che con difficoltà tentano di uscire dalla solitudine che sembra loro connaturata. Eccezionale l’interpretazione dei due attori protagonisti; stupenda la piccola Anahi.



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