Regia di Roland Emmerich vedi scheda film
C'è chi è affetto da ospressiofilia, chi da efefilia, chi da furnifilia, io temo di essere stato colpito dalla bardofilia, che è l'attrazione per l'opera di Shakespeare e, nella fattispecie, per tutti i film che ne parlano.
Anche se lo fanno male.
Che poi, tanto malaccio questo film non è. Le interpretazioni sono inappuntabili, alcune di queste toccano apici non comuni, come quella dell'icona Vanessa Redgrave, e nessuna si colloca al di sotto di uno standard di recitazione molto alto. Altra freccia all'arco della pellicola è la ricostruzione storica, affascinante e coinvolgente, gli effetti speciali sono usati con gusto e parsimonia, la fotografia è di buon livello così come scenografia e costumi. Apprezzabile anche il montaggio, il ritmo della narrazione è fluido e sostenuto, non ci sono vuoti né cali di tensione. Poca musica, ma in questi film è comprensibile.
Passiamo alle note dolenti.
Non si sente tutto questo bisogno di continui flashback a più livelli che, almeno per lo scrivente, confondono un po' le idee e spezzano il flusso logico temporale, aiutati nello scopo da una buona quantità di nominativi da digerire e di versioni diverse dello stesso personaggio poco somiglianti tra loro. Ma questo è il minimo.
Emmerich, come è noto, è abituato a film fracassoni dove più le spara grosse e più il suo pubblico va in sollucchero. Qui però non funziona così, qui sostenere che un bambino di nove anni abbia scritto "Sogno Di Una Notte Di Mezza Estate" è una boutade decisamente eccessiva, tanto quanto la relazione edipica tra De Vere e la regina. E in queste cose Emmerich è indifendibile.
Ma il punctus pruriens riguarda una questione di principio. Se è discutibile, ma sostanzialmente accettabile, che vengano inseriti elementi spuri in una storia universalmente accettata come vera, trovo disdicibile che la stessa operazione venga compiuta nell'ambito di una narrazione che già di per sé sia considerata ipotesi, finzione. In altre parole, appare legittimo manipolare a proprio piacimento ciò che è assodato, conosciuto, ma alterare ciò che è sconosciuto, fantasioso, parmi scelta opinabile.
Ho comunque conservato per il dulcis in fundo il maggior merito della pellicola: l'aver puntato il dito sull'incompatibilità tra la meschina ricerca del potere e l'elevazione spirituale attraverso l'arte. Questo dovrebbe far riflettere chiunque sulla reale natura umana delle persone che ci governano ed amministrano.
Il film abbraccia la teoria Oxfordiana sulla vera identità del Bardo: l'autore dell'intera opera shakespeariana sarebbe in verità non l'illetterato attorucolo di Stratford On Avon ma bensì Edward De Vere, diciassettesimo Conte di Oxford, che si servì del prestanome per vedere pubblicate e rappresentate le opere che la sua posizione ed il suo lignaggio gli impedivano di divulgare.
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