Regia di Roland Emmerich vedi scheda film
Su Shakespeare si e' gia' rappresentato tutto e detto molto, quasi tutto, anche circa le sue dubbie origini natali (a tal proposito il grande maestro portoghese Manoel de Oliveira nel '95 con l'intrigante "I misteri del Convento" portava avanti una bizzarra ma affascinante e per nulla campata per aria teoria circa il fatto che il grande scrittore fosse di origini spagnole). Certo, che il regista dei micidiali Stargate e Indipendence Day ci venisse a fare una lezione per nulla facilona e gretta - al pari dei suoi due film piu' famosi sopra citati - ma al contrario incisiva e saldamente ancorata ad un contesto veritiero e scrupolosamente ricostruito, non ce lo aspettavamo davvero. Il film, sontuoso e ben ambientato in una Londra maestosa piu' di ogni altra metropoli dell'epoca, ci racconta come la passione senza freni per la scrittura indusse alla rovina il pur ambizioso Conte di Oxford, Edward De Vere, che, per la posizione ricoperta e problematiche familiari, dovette celare per tutta la vita la paternita' delle stupende opere che di nascosto seppe scrivere, arricchendo altresi' l'arte teatrale con i piu' appassionanti e famosi atti tragici che l'umanita' abbia mai avuto. La paternita' delle opere venne attribuita ad un consenziente attoruncolo semi-analfabeta, stolto approfittatore e serpente ricattatore del nobile artista in incognito. Intorno a cio' passioni segrete che coinvolgono persino la regina Elisabetta, incesti inconsapevoli, tradimenti, inganni e sopraffazione mossi dalla consueta brama di potere che da sempre anima e travolge la vita sul nostro dilaniato pianeta. Il film risulta piuttosto coinvolgente, accattivante, con accurate ambientazioni e una buona tenuta emotiva, specie nella prima parte, con un finale francamente un po' lungo che avrebbe meritato maggiore scioltezza ed un ritmo che a Emmerich nelle altre ben piu' superficiali opere d'evasione non e' mai mancato. Attori in parte, soprattutto Rhys Ifans, davvero insolitamente misurato dopo le decine di ruoli bizzarri a cui sembrava inevitabilmente votato. La Redgrave e Jacobi sono due presenze carismatiche irrinunciabili e scientemente recidive nel contesto letterario teatrale che anima questa curiosa dotta incursione di un regista forse finalmente cresciuto o maturato a forme e argomenti meno grossolani della sua precedente e commercialmente fortunata avventura cinematografica.
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