Regia di Matthew Vaughn vedi scheda film
Conclusa la vecchia trilogia è arrivato il momento di raccontare le origini degli X-Men.
E' il momento delle svolte. Da una parte ritorna Bryan Singer, la mente creativa, salvo poi abbandonare ancora una volta la nave (pur rimanendo in produzione e contribuendo alla sceneggiatura), sostituito in corsa dal giovane Matthew Vaughn, apprezzato regista del delirante cinecomic Kick Ass. Ai “piani alti” Avi Arad è assente (ormai prossimo al contratto per la Sony), mentre compare per l’ultima volta quello di Kevin Fiege, indaffarato nella tessitura ingarbuglitata della continuity Avengers per i Marvel Studios.
I due lungimiranti produttori hanno infatti appurato l’ormai decisa e inevitabile inflessione del franchising, che, analogamente a Star Trek, gode di una grande fanbase, ma è ormai privo dell’interesse del grande pubblico: anche il più popolare beniamino della serie ha fatto un buco nell’acqua con lo spin-off X-Men le origini: Wolverine (2009) di Hume.
Forse è grazie all’assenza di Fiege che Vaughn può realizzare il “suo” film, nettamente diverso nei toni dagli autorefenziali capostipiti singeriani.
Ambientato nel 1962, negli anni di uscita del primo storico numero firmato Lee / Kirby (ma non fatevi ingannare, perché di quel fumetto resta solo il giallo delle tute), rivisita la vicenda della crisi cubana, in un’atmosfera da fantapolitica dal taglio decisamente vintage-bondiano.
Costumi e scenografie, musiche, ma anche taglio registico e montaggio (che riprende la suddivisione a vignetta dello schermo, già proposta da Ang Lee in Hulk) sono un omaggio esplicito al cinema pop dell’epoca.
Come accennato, questa formazione non c’entra nulla col fumetto, proponendosi come una creativa rivisitazione delle origini di Erik Lehnsherr alias Magneto (inizialmente il film avrebbe dovuto essere un standalone incentrato sul singolo personaggio) e della sua futura nemesi, Xavier, mostrandoci finalmente i retroscena di quella che è stata (nei film precedenti) e sarà (nella continuity della serie) un rappporto di profonda ammirazione e reciproco rispetto.
Magneto, interpretato da un ottimo Fassbander, è una sorta di giovane e inesperto Luke Skywalker tormentato dal proprio lato oscuro: orfano dei genitori sottratti dalle persecuzioni naziste, nutre già quel desiderio di vendetta nei confronti del genere umano, che lo trasformerà nella rabbiosa arma priva di pietas che ben conosciamo.
In lui si nasconde del bene, secondo Xavier. Con il volto di James McAvoy, il futuro professore della mansion per giovani mutanti, è un talentuoso e geniale biologo, con una laurea a pieni voti sull’evoluzione della specie. Idealista, il futuro filantropo mostra già il suo ottimismo speranzoso, esaltato a dismisura dall’entusiasmo ingenuo di un ventenne. Esuberante dongiovanni, piuttosto autoironico (al party della laurea si diverte a scherzare sulla metafora dell’evoluzione della cellula primordiale, che apriva e chiudeva, come voce fuoricampo, rispettivamente il primo e il secondo capitolo della saga) sembra davvero un’altra persona rispetto l’enigmatico dottore immortalato da Patrick Stewart.
Un ruolo più importante (ma affrontato con superficialità) assume il personaggio di Raven/Mystica, affidato alla star nascente Jannier Lawrence. Altra orfana, è cresciuta come una sorella al capezzale di Xavier, mostrando sin da adolescente una certa avvenenza ribelle.
Chi sono i temuti villain che riuniranno le forze di queste icone?
Il “Club Infernale”, una setta mutante che nutre già gli stessi desideri del futuro Magneto, la mente dietro l’intricato “affaire” che portò Stati Uniti e Unione Sovietica sull’orlo di un conflitto nucleare, con a capo Sebastian Shaw (un villain deliziosamente retrò offerto da Kevin Bacon), Janos Questad (Gonzales), lo spietato killer Azazel dalle forme luciferine (Flemyng) ed Emma Frost (January Jones, sensuale bond-girl d’annata, formidabile telepate in grado di mutare il corpo in indistruttibile diamante).
Inizialmente appoggiati dalla CIA, comincia l’avventura degli X-Men. All’appello risponde Hank McCoy / Bestia, con il fare da adolescente nerd di Nicholas Hoult, quindicenne prodigio, tramutatosi in gorilla blu (l’abbiamo visto in versione adulta in X-Men conflitto finale) in seguito agli effetti collaterali del siero elaborato dal DNA di Mystica. Tra gli altri, Alex Summers / Havok (Lucas Till), Angel Salvadore (Zoë Kravitz). Ancora una volta, una vasta gamma di personaggi rubati dal genio di Claremont / Byrne.
Tra intrigo internazionale e conflitti caratteriali (e inevitabili triangoli amorosi, o meglio “quadrangoli”, con Eric, Charles ed Hank intorno alle grazie multiformi di Raven), il film scorre con una buona forza narrativa, mettendo l’azione caotica in secondo piano: peccato che conosciamo già il finale.
I personaggi di contorno soffrono purtroppo delle ormai inevitabili banalità già ampiamente evidenti nel terzo capitolo della trilogia: personalità piattissime, buoni che passano col cattivo come se dovessero cambiare squadra ai giardinetti.
Il prologo iniziale riprende pari quello girato da Singer nel primo capitolo della saga, con il piccolo Eric separato al campo di concentramento dalla madre.
Divertente cameo di Hugh “Logan” Jackman, che alla proposta di Xavier di unirsi al gruppo risponde in perfetto stile Wolverine.
Stessa reazione dei produttori dopo l'esito non proprio esaltante al botteghino.
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