Regia di Matthew Vaughn vedi scheda film
Normalmente quando si parla di prequel c’è sempre da stare all’erta perché spesso dietro la proposta di rivisitare una serie, andando a scavare nei meandri delle sue origini, c’è quasi sempre un motivo puramente commerciale. Cambiare faccia ai personaggi, renderli più appetibili dal punto di vista iconografico e della moda, assecondare il momento ed il mercato. Nei casi più estremi il prequel può essere lo strumento per azzerare tutto e ricominciare da capo, ricostruendo un eroe ed il suo mito per intero. Alla Marvel, in genere, preferiscono andare sul sicuro, appiattendo le storie su percorsi di ordinarietà iconografica: riconoscibilità, rispetto delle fonti ed innesti di cinema classico sono le caratteristiche della sua cinematografia. Quando qualcuno ha provato a cambiare le regole, cercando angolazioni differenti, per esempio Ang Lee con l’alter ego di Bruce Banner, il risultato ha lasciato scontenti pubblico e produttori. Da allora film senza un sussulto: I fantastici quattro, Wolferine, Iron Man, Thor, personaggi triturati nel calderone di una normalizzazione miliardaria.
In questo senso “X- men l’inizio” costituisce una sorpresa per la volontà di puntare ad una rivisitazione del fumetto in chiave vintage (siamo negli anni 60) che da un lato permette di inserire i personaggi in uno contesto fortemente caratterizzato e che obbliga la produzione a sforzarsi anche in termini di scelte estetiche (il rispetto dei costumi e degli ambienti, la ricostruzione di un periodo storico e delle atmosfere etc..). Giusta quindi la scelta di puntare a due attori come McAvoy e Fassbender rispettivamente Charles Xavier e Magneto, capaci di completarsi a vicenda in termini di fascino e carisma, e poi ancora privi di quella celebrità che impedisce agli attori di disfarsi della propria immagine, e poi di supportarli con facce emergenti come quella di Jennifer Lawrence, corpo solido e faccia malinconica e di January Jones, algida e levigata nei suoi abiti da swinging london. Insieme loro, a comprenderli tutti lo sguardo di Kevin Bacon, in bilico tra passato e presente, un po’ come la sua carriera, non del tutto emancipata dall’edonismo degli anni 80. Eleganza e virilità dunque, radunate attorno ad un cenacolo di agenti segreti e guerre mondiali: cambi d’abito e di fisionomie, corredate da ragazze in minigonna e capelli cotonati. Se la diversità è il tema che da sempre contraddistingue il sostrato culturale della serie allora questo nuovo capitolo ne è la sua migliore traduzione.
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