Regia di Steven Quale vedi scheda film
«Ho già visto questa cosa. Un gruppo di persone sopravvive a una tragedia. Poi la morte viene a cercare i superstiti e li uccide. Uno a uno». Sono le parole di Mr. Bludworth, abitante ricorrente di Final Destination, parole che riassumono la trama di una saga che prosegue per piccole variazioni sul monolitico tema originario. Ogni capitolo è un rifacimento. Cambiano i volti (quelli comunque intercambiabili di milioni di teen movie), rimangono immutate le dinamiche: un ragazzo ha la visione di un disastro imminente, salva alcuni personaggi dal decesso e utilizza il sogno premonitore come mappa per prevenire il disegno della Grande Consolatrice. Che, da par suo, non si scoraggia. Se agli albori della (per ora) pentalogia l’appetito teorico si pasceva di fronte a questa astrazione dello slasher (qui la Morte seriale agisce da sé, senza mediatori umani, Jason o Freddie di sorta), i seguiti appagano solo languorini ludici (e sadici) legati al sollazzo per le coreografie splatter, sempre più ardite. Si invita lo spettatore a giocare a “come moriranno”, unendo i puntini sospetti (viti allentate, fili elettrici scoperti) per poi sorprendere (forse). Il quinto capitolo (il secondo in 3D) è il solito innocuo divertimento macabro, ritorno dell’uguale, pieno di riferimenti ammiccanti agli habitué e infrazioni al canone subito riassorbite, con ironia. Perché dalle logiche del franchise non si fugge. Come da quelle della morte. E così sia.
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