Regia di Glenn Ficarra, John Requa vedi scheda film
Glen Ficarra e John Requa non mi convinsero del tutto con la loro opera d’esordio, quel Colpo di fulmine con Jim Carrey truffatore estremo e Ewan McGregor come di lui compagno fin troppo infarcito degli elementi più disparati e di pesanti sfumature per essere giudicato totalmente riuscito. Il loro secondo opus, questo Crazy, Stupid, Love è decisamente più mainstreaming (per quanto fosse coinvolto un peso massimo come Carrey, l’opera prima era un po’ di nicchia e non se la filarono in molti) e sicuramente più convincente. Persistono difetti tipici di coloro che son alle prime armi: eccessiva carne al fuoco, mancanza di sintesi, buchetti di sceneggiatura, incertezza sul tono predominante. E stiamo parlando di una commedia, il genere che pretende la rapidità ma non la frettolosità, la leggerezza ma non la sciatteria, il ritmo ma non la frenesia. Eppure la storia (due ore: troppe, forse) fila che è una bellezza tra colpi di scena e sorprese inattese, confina in modo molto marcato con la commedia romantica ma non si abbandona al miele, vive di situazioni divertenti e di personaggi scritti dignitosamente pur senza chissà quale approfondimento psicologico. Tre storie che si intrecciano, si toccano, si confondono: il monogamo Cal, tre figli (il maschio è innamorato della babysitter diciassettenne, a sua volta invaghita di Cal), lasciato dalla moglie Emily che se la fa col collega David, conosce ad un bar il playboy Jacob, che lo istruisce sull’arte della seduzione; mentre Cal va a letto tra l’altro con un’ex alcolista e viene scoperto dall’ex moglie (non vi dico come), Jacob si piega ai sentimenti grazie a Hannah, che in realtà… Figlia di Love Actually e di una lunga tradizione di commedia americana di fine millennio (Nancy Meyers, Nora Ephron, James L. Brooks, Andy Tennant), è una commedia dolce con divagazioni buoniste (il finale, per certi versi anche necessario e sperato) alternate a momenti di sano pragmatismo comico (l’improvvisata riunione di tutti i personaggi nel giardino di casa Weaver) e di inattese svolte patetiche (la memorabile telefonata di Emily a Cal). Ma, a parte una pertinente colonna sonora in cui capitolano perfino i Talking Heads di This Must Be The Place quando Cal torna a casa di notte per fare giardinaggio, la buona riuscita del film va accreditata soprattutto ad un cast che regge bene l’intreccio: se Julianne Moore e Kevin Bacon giocano egregiamente col mestiere, Steve Carrell sguazza, Ryan Gosling ed Emma Stone brillano di luce propria, è una grande Marisa Tomei a guadagnarsi applausi a scena aperta (il saluto a Carrell con il dito medio ondeggiante è da antologia).
Voto: 7.
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