Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film
2 ore e mezza di film e non sentirle - una sceneggiatura in puro stile pirandelliano che sembra scritta dal miglior Camilleri: una donna denuncia la sparizione del marito, la Polizia indaga, ferma due fratelli pregiudicati, uno confessa l'omicidio. Comincia al tramonto e finisce poco dopo l'alba la lunga, faticosa ricerca del corpo. L'assassino è sotto pressione ma non riesce a ricordare dove ha seppellito il suo vecchio complice, era troppo ubriaco. Solo dopo molti falsi tentativi attraverso la campagna notturna il cadavere viene ritrovato e riportato all'alba in città per il riconoscimento ufficiale e l'autopsia. Fine.
Nonostante le apparenze non è la storia dell'inchiesta su un caso di omicidio; si parla invece di uomini che cercano risposte nel buio e nel silenzio. Su un piccolo corteo di tre auto, nello sterminato, semideserto paesaggio anatolico un commissario, un medico, un procuratore, un cancelliere e alcuni agenti di polizia, in un modo e in un mondo tutto maschile, condividono per una notte la frustrazione per la ricerca infruttuosa, l'ira per il mutismo del colpevole, ma anche aneddoti, ricordi e dolorose confidenze familiari. Ci sono momenti di shakespeariano "alleggerimento", come quando il procuratore detta per scherzo stupidaggini allo stanchissimo cancelliere, per vedere se sta attento a quello che scrive, c'è il poliziotto che rubacchia nei campi frutta e verdura che finirà nel bagagliaio di un'auto insieme al cadavere, oltre a discussioni molto competenti su quale sia lo yogurt migliore. E poi la snervante, apparentemente interminabile ricerca prosegue. Il sindaco di un paesino ospita gli esploratori esausti. Durante la cena un forte temporale provoca un black-out: e dal buio esce come un angelo di misericordia, illuminata da una lampada a petrolio, la bellissima giovane figlia del sindaco con un vassoio di bicchieri di té. Per un attimo il tempo sembra fermarsi, tutti ammutoliscono, sui visi segnati dalla stanchezza di quegli uomini induriti passa quasi un alito di grazia divina.
Anche solo per questa scena vale la pena di vedere il film, che è concepito come una musica minimalista: la stessa scena è ripetuta più volte con minime variazioni, e in pratica per la maggior parte del tempo non succede quasi niente. Spesso la macchina da presa segue facce o oggetti quasi a caso, una pietra, un pioppo scosso dal vento, una mela caduta dall'albero che rimbalza lungo un pendio, indulgendo in osservazioni apparentemente oziose: riprende cioè esattamente i movimenti oculari di uno degli stremati cercatori. Quella che ad un certo punto compenetra lo spettatore perciò non è noia: è la naturale condivisione di un racconto quasi in tempo reale, è il ritmico respiro della vita, è il quotidiano così come è, con le sue piccole e grandi miserie, bassezze e tristezze, e i brevi miracolosi momenti di gioia che ci permettono di tirare avanti. E' come il paesaggio in cui si svolge la storia: quella che nella notte sembra un'immensa steppa arida e desolata alla luce del giorno si rivela un'autunnale, solo assopita campagna fertilissima, costellata di preziosi monumenti archeologici purtroppo ignorati dai più.
Arrivati alla fine abbiamo più domande che risposte: non abbiamo la certezza che il colpevole sia proprio l'uomo che ha confessato, che forse sta solo proteggendo il fratello minore. Non sappiamo con sicurezza se e perché il medico legale ha mentito sulla causa della morte, né se la giovane e bella sposa del commovente racconto del procuratore è morta d'infarto o si è davvero suicidata. Ma la verità è poi così importante? Ci rende davvero liberi, o può farci sprofondare in un più profondo abisso di dolore?
Con le mele rotolate dall'albero, col figlio malato del commissario che lotta ogni giorno per sopravvivere, con la bellissima figlia del sindaco che appassirà nel suo sperduto paesino, con il pallone preso a calci dal bimbo da poco orfano, nel bene e nel male la vita continua.
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