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C'era una volta in Anatolia

Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film

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La recensione su C'era una volta in Anatolia

di alan smithee
8 stelle

Premio della Giuria a Cannes 2011, il film dello stimatissimo regista turco Nuri Bilge Ceylan esce in questi primi lividi giorni di novembre in Francia e, approffittando della vicinanza (e un po' meno del cattivo tempo che imperversa drammaticamente sulle coste liguri) con la terra d'oltralpe, mi precipito a vedere quest' opera di cui si e' detto un gran bene al festival piu' celebrato, nel maggio scorso.
Pellicola molto lunga, in cui l'autore usufruisce della liberta' di prendersi tutto il tempo che egli ritiene necessario per raccontare la vicenda della ricerca di un corpo umano da parte delle forze di polizia locali turche, facendosi guidare da un taciturno e scuro uomo barbuto, accusato di essere, insieme ad un complice, il principale responsabile dell'omicidio.
Il morto alla fine si trova, semisepolto in un campo, e, dopo una grottesca e tragicomica stesura del rapporto da parte dell'ispettore di polizia - figura di grande umanita' che impareremo a conoscere meglio nel corso della vicenda - iniziano gli esami medici per chiarire le cause del decesso.
In una Anatolia contadina e rurale che ricorda la Bassa Padana degli anni '70, dove l'attualita' e il progresso dei giorni nostri si mostrano solo con la presenza di un computer portatile appoggiato su uno sgabello in un campo gelato dal freddo, alle spalle di un cadavere appena dissepolto, Bilge Ceylan manovra i suoi personaggi che poi si sostanziano in tre uomini: Il commissario, il medico legale, e l'assassino.
Tutti e tre in seguito emergera' che hanno in comune una caratteristica: l' assenza di una donna: il primo l'ha persa in seguito ad un suicidio per avvelenamento, il secondo e' un uomo solo perche' abbandonato dalla bella consorte, l'omicida infine  amava la vedova dell'uomo ucciso, dalla quale aveva pure avuto il figlio riconosciuto poi dal morto.
Film di uomini soli, disperati, ironici e talvolta pure complici fra loro, come si scoprira' in occasione dell'autopsia un po' improvvisata a cui viene dedicata tutta l'ultima mezz'ora di questo grande film, dove la verita' viene in parte celata, forse per un residuo di complicita' ed orgoglio tra uomini vivi e non, ma entrambi sconfitti e perdenti. Film che dimostra ancora una volta cosa comporta la liberta' di espressione, e ci fa domandare, al termine della visione, quanti sono ancora i registi che come questo grande turco riescono a esprimere il loro pensiero senza alcun calcolo di marketing o commerciale che imponga un ritmo, una scaletta di avvenimenti. Bilge Ceylan, come anche l'argentina Lucretia Martel, forse coadiuvati dal paese dal quale provengono, ancora cosi' poco "occidentalizzato"da impulsi capitalistici (ma in Turchia durera' ancora poco), sono infatti autori liberi di esprimersi come la loro creativita' e capacita' espressiva li guida e quindi esenti da compromessi che molti grandi artisti devono accettare per vedersi aggiudicati i fondi per la loro opera. Alla faccia della democrazia e della liberta' di espressione, caratteristiche di fatto scontate in un paese occidentale, ma solo se in linea con un giusto ritorno in termini economici.

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