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Drive

Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film

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La recensione su Drive

di MonsieurGustaveH
9 stelle

Refn unisce autorialità e fruibilità per il grande pubblico in una pellicola a dir poco eccezionale che mantiene viva la poetica del regista senza farsi influenzare dalla produzione hollywoodiana.

Vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2011, Drive è l' ottavo film di Nicolas Winding Refn, cineasta nordico che con il collega Lars Von Trier ha aperto definitivamente le frontiere del cinema danese al grande pubblico.

Esso rappresenta la prima vera e propria produzione hollywoodiana dell' autore, che ha quindi a disposizione un buon budget di partenza (all' incirca 15 milioni di dollari) per sviluppare la sceneggiatura di Hossein Amini, tratta dal romanzo "Drive". La trama risulta piuttosto minimale, ma perfettamente confacente al tipo di noir che Refn vuole realizzare: un giovane dall' oscuro passato e senza una precisa identità (Ryan Gosling), lavora come meccanico in un' officina a Los Angeles e si presta saltuariamente come stuntman per gli inseguimenti in auto nei film. I binari della sua vita svolteranno con l' incontro di una giovane donna vicina di casa (Carey Mulligan): da quel momento in poi lo svolgimento della sua vita verrà costantemente condizionato dall' averla conosciuta, in una trama in cui moralità e sentimento fanno da padrone.

Aggiungere altro risulterebbe superfluo, dal momento che ciò che effettivamente compone l' ossatura del film e lo rende una pellicola di altissima fattura è la regia, sempre perfetta in ogni inquadratura, dotata di una sequenza iniziale di apertura - antecedente ai titoli di testa - a dir poco da applausi. 

 

 "Dammi ora e luogo e ti do cinque minuti: qualunque cosa accada in quei cinque minuti sono con te, ma ti avverto: qualunque cosa accada un minuto dopo sei da solo. Io guido e basta!"

 

Si alza così il sipario, con la frase fredda di un uomo apparentemente dal cuore di pietra, per poi mostrare ciò che concretamente accade in quei cinque fatidici minuti: il nostro "driver" si prodiga come autista per una coppia di rapinatori in un inseguimento con la polizia al cardiopalma: quest' ultimo terminerà con la conclusione dei suddetti cinque minuti (e anche della partita di NBA alla radio, superba trovata per cui tale sincronia permette di innalzare ulteriormente il ritmo e la tensione). E' incredibile la maestria con cui il regista gestisce questa prima sequenza, coadiuvata da una colonna sonora elettronica (curata da Cliff Martinez) che rende un' atmosfera molto in stile anni '80 e si presta in modo eccellente a tratteggiare lo sfondo di una Los Angeles notturna ma sfavillante, costellata di luce artificiale.

Il punto in cui però il film decolla, viene subito dopo, perchè Refn cambia repentinamente registro, lasciando sbigottito lo spettatore: si passa dalla notte al giorno e dall' oscura vita notturna del protagonista a quella ordinaria diurna. Decisiva è qui l' abilità innata del regista nel riuscire a mettere in gioco una regia poliedrica che si adatta perfettamente a quest' esigenza di continua mutazione, sia visiva per lo spettatore, che emotiva per il protagonista (fortemente rappresentativa è a tal proposito la scena dell' ascensore): è infatti da notare come le agghiaccianti scene di violenza - peculiarità stilistica del regista - siano inserite in un contesto ossimorico, per cui risutino ancor più efficaci.

Fin qui risulta quindi una regia senza sbavature e una colonna sonora altrettanto pertinente e immersiva, ma non basta: un altro punto di forza sono gli attori. Il cast fornisce una performance memorabile, primo fra tutti il taciturno Ryan Gosling, che trasmette perfettamente le proprie sensazioni pur mitigando la propria espressività e utilizzando il silenzio come arma primaria; oltre ad un veterano sempre incisivo come Bryan Cranston, fortemente voluto dal regista - e come dargli torto - nella parte di Shannon, il capo officina, troviamo poi la già citata Carey Mulligan in duo con Oscar Isaac, a formare una coppia di sposi non esattamente idilliaca che rivedremo curiosamente in altri costumi in "A proposito di Davis" dei fratelli Coen.

In conclusione, il protagonista emerge dall' ombra e nell' ombra è destinato a ritornare (un po' come il personaggio di One Eye in Valhalla Rising), ma in un modo totalmente differente da quello in cui è arrivato (being a real human, a real hero è appunto il tema principale della colonna sonora, che ancora una volta risulta decisiva). Egli esibisce così nel finale quella che è in definitiva la propria natura, quella selvaggia, dello scorpione che porta sulla schiena: nonostante le proprie pulsioni affettive, si lascia andare all' ineluttabilità dell' istinto riavviando quel percorso di solitudine che aveva subito una breve - seppur intensa - interruzione.

Un finale emblematico per un film a dir poco eccezionale che mantiene viva la poetica del regista, senza però farsi influenzare dalla produzione hollywoodiana, fatto piuttosto raro di questi tempi.

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