Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film
Parziale (seppur cocente) delusione. Pare che alla dieta di “Pane & America”, l’americano di adozione N.W.Refn sia vagamente intollerante (già gli fece chiudere bottega il malriuscito, turturroso “Fear X”). E’ un ottimo noir, le atmosfere cotte a puntino, i tempi studiati alla perfezione sul piano registico (meno su quello della sceneggiatura…), eppure… non è il Refn che avevamo lasciato con Bronson. Per cominciare, a mio avviso, un protagonista falsamente “forte”: nonostante all’osannato Ryan Goslin (il quale ha pure la non irrilevante funzione di traino da un punto di vista commerciale) non sia imputabile niente di sbagliato, forse quel giubbottino slavato nel quale è perennemente racchiuso come un Calimero nel suo mezzo guscio, o forse quello sguardo liquido e melenso che non riesce a contrastare efficacemente (chimicamente parlando) con l’anima nera che lo pervade, o forse quegli esagerati silenzi che il copione gli ha voluto riservare… fatto sta che, come già successo in altri film di Refn, l’assenza di un “vero” protagonista, totalizzato e totalizzante, pesa sulla buona riuscita dell’opera (era già successo col terzo film dei “Pusher”). Poi l’utilizzo di Carey Mulligan (sulla quale, essendone frustratamente innamorato, non posso essere obbiettivo…), che viene usata solo come sponda sulla quale far rimbalzare la storia (peraltro scarsamente respingente: seno piccolo, la mia Carey…), anch’essa silente oltremisura (ah! Che splendida voce la mia Carey! Dio benedica i volonterosi sottotitolatori che mi hanno consentito di ascoltarla di nuovo…) col risultato quindi di mandare in fumo il patrimonio di un personaggio (che poteva dare molto di più) e del suo interprete (che E’ molto di più). Infine un ultimo, parziale (seppur pesante) rilievo: quella canzoncina orribile in apertura e chiusura, tormento non solo per le orecchie, ma soprattutto tormentone anche per quel poco di intelligenza letteraria di cui posso disporre (di una banalità disarmante quel: “A real human beeeeing, and a real herooooo” ripetuto all’infinito!!!), che circonda come in un vile assedio l’invece ottimo commento musicale di Badalamenti trascorso per tutto il film. Insomma, come è stato per Fear X (del quale in parte Refn riprende gli interni rosseggianti che già furono quelli del misterioso, turturroso hotel..) la dimensione totalmente americana e l’assenza di un sano provincialismo antagonista fa perdere al bravo danese (la palma d’oro alla regia di Cannes 2011 non è affatto immeritata) quel mordente di cui è capace, gettandolo nella mischia dei “bravi-registi-e-basta”, e in questo facendogli sostanzialmente del male, lui che ha un talento tale da potersi ampiamente distinguere, innalzandosi rispetto a questa cerchia.
Una stelletta in meno come amichevole rimbrotto.
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