Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film
Driver (si può chiamarlo convenzionalmente così questo cavaliere solitario senza nome) conduce una vita multipla con un minimo comune denominatore: le automobili. Ufficialmente fa il meccanico presso l'officina dell'amico Shannon, attraverso il quale ottiene anche ruoli da stuntman per il cinema nei quali dà sfoggio del suo innato talento per le peripezie al volante. Poi, di notte, occasionalmente, si trasforma in virtuoso autista freelance al servizio di rapinatori provetti.
Le sue giornate procedono regolarmente (si fa per dire) lungo questo doppio binario fino a quando conosce Irene, la dolce dirimpettaia dallo sguardo malinconico, con un figlioletto a carico di nome Benicio, e un marito in galera che tutti chiamano Standard. Mentre Shannon, suo mentore, gli combina un accordo con Bernie, un boss della malavita locale, per farlo correre nei circuiti professionistici degli stock car racing, Driver, innamoratosi di Irene e affezionatosi al suo ragazzino, sceglie di aiutarli quando Standard, appena tornato in libertà, si trova sotto il tiro di chi, dopo avergli garantito la protezione dentro, pretende che gli venga saldato il debito fuori. Così si offre per condurre l'ex galeotto sul luogo dell'ultimo colpo, quello che dovrebbe garantirgli l'uscita dal giro: ma qualcosa va storto, la situazione precipita, e il sangue scorre a fiumi.
Drive è l'esordio hollywoodiano del regista danese 'di culto' Nicolas Winding Refn, e gli è valso il premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2011. Da una storia che fondamentalmente non inventa nulla, sceneggiata da Hossein Amini adattando un romanzo di James Sallis, Winding Refn trae un action movie d'autore che flirta con gli stereotipi declinandoli secondo una sensibilità profondamente noir.
L'apertura è di quelle che non si scordano, affidata ad un inseguimento mozzafiato in cui il ritmo è dettato da un loop sintetico e pulsante che asseconda il battito del cuore, e la tensione è garantita dalla maschera gelida dell'autista, dalle fredde luci notturne di Los Angeles, e dalla sovrapposizione tra le diverse voci che giungono dall'autoradio, da un lato quella di un cronista sportivo che racconta con enfasi gli ultimi istanti di un incontro di basket, dall'altro quelle captate intercettando le frequenze della polizia che, altrettanto concitatamente, gli sta dando la caccia; un'introduzione meramente dimostrativa (nulla si sa né si saprà sui due ceffi scortati dal protagonista, se non che hanno appena compiuto una rapina) ma folgorante, capace di un magnetismo che, protraendosi per l'intera pellicola, costringe lo spettatore a restare con gli occhi incollati allo schermo fino ai titoli di coda.
Anche quando il registro cambia.
Anche quando Winding Refn sceglie di abbassare i toni per concentrarsi sui rapporti tra i personaggi.
Perché il vertiginoso intro è solo un assaggio di ciò che verrà, anzi un depistaggio; perché Drive non distilla solo adrenalina, ma anche passione ed emozioni.
Sentimenti ed affetti assumono col passare dei minuti un ruolo centrale, rappresentando l'altra faccia di una preziosa medaglia: perché la carta vincente del film del regista danese è proprio la sua capacità di spaziare orizzontalmente e repentinamente, ma senza mai perdere un grammo della purezza nello sguardo né della lucidità e della chiarezza espositiva, dal versante dell'azione tout-court a quello di un romanticismo palpabile ed intenso. Esempio eclatante nonché sintesi ideale ne è la scena in cui Driver e Irene condividono l'ascensore con un misterioso tizio che si intuisce esser intenzionato ad ucciderli, in cui il passaggio da un bacio vibrante in ralenty alla violenza più sanguinaria avviene nello spazio di due metri quadrati e nell'arco di due secondi, sintetizzando in una manciata di fotogrammi tutta la potenza ed il fascino di un film sfaccettato sanguigno e spesso esaltante, un film duro e vibrante, asciutto ed elegante che ha tutte le carte in regola per piacere ad un pubblico trasversale.
Magistralmente condotto dalla regia fluida impetuosa e personale di Nicolas Winding Refn, ben servito dalla calda fotografia (preferibilmente notturna) di Newton Thomas Sigel e dal montaggio di precisione metronomica di Matthew Newman, e degnamente accompagnato dallo score ipnotico di Cliff Martinez e da una suggestiva colonna sonora (in cui, tra electro e synth pop, la parte del leone spetta al Kavinsky di Nightcall e ai College - feat. Electric Youth - di A Real Hero) che, unitamente ai titoli, sottolineano un generale rimando ad atmosfere ed estetica anni '80, Drive registra la prova convincente del protagonista Ryan Gosling che, nonostante limiti la propria gamma espressiva a due sole pose (con lo stecchino in bocca e senza), se la cava egregiamente nel ruolo epico dell'antieroe senza nome, riuscendo a donare sensibilità e dolcezza ad un personaggio taciturno ed impassibile ma capace di slanci improvvisi e imprevedibili; tra i comprimari brillano Bryan Cranston e Albert Brooks, alle prese con due dei caratteri migliori, rispettivamente Shannon, il meccanico 'sponsor' di Driver, e Bernie, il pezzo grosso della mala suo amico; è sofferta il giusto l'interpretazione di Carey Mulligan nella parte della tenera e sfortunata Irene, mentre si salva col mestiere Ron Perlman, il cui cattivo, al pari con quello di James Biberi, è il meno definito del lotto.
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