Regia di Maïwenn Le Besco vedi scheda film
«Giurate di dire tutta la verità»: è l’invito di un padre alle figlie, prima che compaia il cartello con il titolo del film. Polisse: che suona come polizia in francese (ovvero Police, titolo di un bellissimo, dimenticato polar di Maurice Pialat), ma si legge come fosse un fraintendimento infantile. Perché è difficile coglierla, la verità. Anche quando si giura di averla pronunciata. Maïwenn Le Besco, alla sua opera terza, affronta l’umanità che s’affolla all’interno e intorno alla Brigade de Protection des Mineurs, polizia di Parigi, la vita degli agenti tra bambini molestati e familiari molestatori. Nella ricostruzione cronachistica (tutto s’ispira a vicende reali), è la questione umana, ciò che le interessa: l’impasto tra pubblico servizio e dramma privato, l’influenza della tragedia (divenuta prassi lavorativa) nell’ordinarietà delle vite. Cercando di organizzare un discorso mai semplificatorio: Maïwenn sa che l’abuso sui minori è questione che interessa ogni strato sociale, dallo sfruttamento lavorativo di un campo rom alle ipocrite bianche pareti in cui abitano serafiche le perversioni del Potere. Sa che il margine che separa legalità e reato, in questo territorio, è flebile quanto quello che divide vero e falso, che un bagno a un bambino può essere innocente e osceno, persino contemporaneamente. E sa che la verità delle cose non può che disperdersi: nelle categorie che si applicano alla realtà, nelle mistificazioni (in)consapevoli del linguaggio. Così si spinge sino a zone scottanti, nei dintorni di Mysterious Skin di Gregg Araki, dove s’insinua tra vittima e pedofilo un sentimento d’amore: per dimostrare come la Legge non possa adeguarsi alla molteplicità, anche indigeribile, dei punti di vista. E, soprattutto, applica al genere il format di La classe di Laurent Cantet, dove parole e lingue creavano mondi disancorati dal mostrato, in abiti documentaristici qui ripresi e radicalizzati. È difficile ricostruire la verità: così Maïwenn, che vorrebbe fotografare (lo segnala simbolicamente il ruolo che interpreta), frequentemente eccede nel raccontare. Ma sono nei d’inautenticità, quelle derive mélo, di un’opera generosa, già affettivamente bruciante.
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