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...E ora parliamo di Kevin

Regia di Lynne Ramsay vedi scheda film

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La recensione su ...E ora parliamo di Kevin

di amandagriss
10 stelle

Una madre e suo figlio ed il loro ancestrale legame. Da cui tutti sono esclusi, padre compreso. Lynne Ramsey ci catapulta -in punta di piedi- nell'universo mentale ed emotivo irrimediabilmente dilaniati di una donna/madre che si trova a dover affrontare per il resto della vita la sconvolgente realtà di un figlio adolescente assassino (colpevole di aver provocato una strage nella sua scuola). Che continuamente (ogni giorno, ogni momento, senza tregua, solo il sonno a darle pace ma non i sogni) non fa che passare in rassegna, con la memoria a ritroso nel tempo, la sua esistenza, sottoponendo ad una sorta di raggi x metaforici il passato, di quando era una donna di successo, libera, forte e indipendente, innamorata dell'uomo che un giorno avrebbe sposato e con il quale creato una famiglia. Eva, il suo nome, è adesso una persona comune, quasi anonima, dalla bellezza un po'appannata; personalità discreta, forse triste: se la si guarda attentamente appare provata, intimidita ma nulla più. Se fuori rientra nei canoni della ‘normalità’, dentro è un tumulto di emozioni, un abisso di devastazione, paura, angoscia, senso di colpa e necessità di espiazione, incredulità, sconfitta, rassegnazione, coraggio, forza, grande dignità. Dentro è come un libro illustrato di un rosso sangue acceso che le provoca vertigine e repulsione ma di cui non riesce o non vuole liberarsi. Che se ne sta lì, perennemente aperto a evidenziare ogni suo gesto, ogni sua scelta, ogni sua parola, ogni tappa/tassello del suo intimissimo puzzle dell'orrore. Negli ultimi due anni vive in un isolamento (auto)imposto ma, soprattutto, vive dentro se stessa, occupata a riavvolgere con la mente il film della sua vita -continuamente instancabilmente ossessivamente- alla ricerca di un graffio, una crepa o una 'bruciatura di sigaretta' che abbiano potuto comprometterlo irreversibilmente. Alla ricerca di un semplice ma fondamentale perché, che, come la pallina di un flipper, rimbalza dalla convinzione di essere stata una pessima madre (presa anche dalla sua vita e non totalmente assorbita e annullata dalla famiglia), incapace di trasmettere amore al proprio bambino, a quella più radicalmente autodistruttiva di aver generato un mostro, frutto inequivocabile di un istinto materno inesistente e un dna (solo il suo) avariato, assolutamente inadatto a concepire e allevare figli. Convinzione che presenta delle falle (perché la stessa cosa non avviene con la sua secondogenita?) e, al contempo, delle certezze innegabili (il figlio ha un ottimo rapporto con il padre), che non le danno pace, anzi, rinnovano e rafforzano la sua già insondabile pena. Un tormento che cresce col bimbo e con gli anni, si acuisce per poi perdersi nel calderone costantemente ribollente dell'età adolescenziale, fatta di umori ballerini, ribellione a tutto ciò che è autorità, in bilico tra desiderio di emancipazione e quello (indispensabile, distruttivo ed autodistruttivo) di ricevere attenzione. Fuoco sotto la cenere che non si vuole o non si è pronti a vedere, che i legami di sangue, l’abbacinante amore di un genitore per il  figlio tendono naturalmente a soffocare o comunque a depotenziarne la carica distruttiva. Forse perché, per puro istinto di conservazione, il vero male, il suo orrore, quello che deflagra, è sempre altrove e non riguarda mai il proprio focolare. La memoria di Eva arriva a scorgere segnali più che evidenti, il senno di poi li classifica irrimediabilmente allarmanti (come l’inequivocabile suono di ferraglia nel pesante zaino che il figlio appoggia sul bancone della cucina prima di andare a scuola). Presentato al Festival di Cannes 2011 e vincitore di numerosi premi in festival minori, prodotto tra gli altri da Steven Soderbergh, E ora parliamo di Kevin è un'opera di forte impatto visivo ed emotivo. Concepito come un thriller, il film è abilmente costruito su diversi piani temporali (presente, passato prossimo e remoto) che l’ottimo montaggio provvede ad intersecare con sapiente intelligente perizia conferendogli ritmo, agilità, palpabilissima tensione (che si acuisce sul finale) sottolineata dallo stridente tappeto musicale di Jonny Greenwood -anima 'dissonante' dei Radiohead-. Superbe, poi, le prove dei suoi bravissimi interpreti, una straordinaria Tilda Swinton, l'ottimo comprimario, il ‘morbido’ John C.Reilly e il davvero inquietante Ezra Miller, giovinastro mefistofelico doc. Tutte componenti in grado di impreziosire e rendere sostenibile un racconto durissimo e lacerante, sconvolgente ed insieme bellissimo, agghiacciante per la sua implacabile lucidità nell’esporre l'angosciante incognita dell'essere madre, quel suo rivelarsi una 'spada di Damocle' pendente sulle teste di ogni donna futura madre. Lo sguardo attento e sensibile (e dal buon gusto estetico) della Ramsey affonda nella piaga purulenta di un intimità familiare dove il Male è una semplice sensazione soggettiva. Ma quando gli equilibri interni travalicano i confini del privato, estendendosi al resto del mondo, ecco che quel disagio, quel profondo annichilente personalissimo turbamento che affligge Eva ha finalmente ragion d’essere nell'oggettività chiarificatrice dei fatti. Magra consolazione per un genitore costretto ad affrontare l'immane sofferenza di una tragedia che ha il volto del proprio figlio, al quale continua a voler bene, incondizionatamente, per il quale continua a vivere pur non avendo più nessuna vita da vivere, suppliziato da un'esistenza che, almeno biologicamente, non vuole saperne per il momento di fermarsi, perseguitato dall’infame  marchio della colpa, mortificato dall'onta della vergogna, non potendo mai più dimenticare, forse desiderando soltanto, e con tutte le forze, di scomparire. Per sempre.

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