Regia di Lynne Ramsay vedi scheda film
È un incubo come la distesa umana pigiata in una calca da polli in batteria e sommersa dai pomodori della prima, stupefacente scena la vita di Eva (Swinton), madre non troppo convinta che ha messo al mondo Kevin (Miller). Appena neonato il piccolo emette strilli sono più insopportabili del rumore di un martello pneumatico. Un pochino più grande il bambino (Duer), dopo essersi a lungo rifiutato di parlare, si trasforma in un piccolo mostro sadico a metà strada tra catatonia autistica e genietto dispettoso. Il capolavoro arriva a sedici anni, quando è abbastanza bravo con l'arco per trapassare a uno a uno i suoi compagni di scuola dopo averli rinchiusi nella palestra.
Lynne Ramsay racconta attraverso lo sguardo materno una vicenda che è parente stretta del massacro della Columbine. Lo fa con uno stile straniato, spiazzante, la musica usata in maniera dissacrante, il montaggio a puzzle, avanti e indietro in diversi momenti della vita della donna, a voler ricostruire il disagio e gli sforzi di quest'ultima, la voglia di comprendere e di esserci ma anche, e soprattutto, il senso di sconfitta davanti all'innocenza del diavolo e alla banalità del male. Il nichilismo di una generazione diventa così materia filmica posta sotto la lente d'ingrandimento di chi quella generazione l'ha allevata e cresciuta, tra benessere, eccesso di dialogo, iperprotettività e mai una mano allungata a proposito. Chiaro che con un'educazione così prima o poi ti ritrovi la casa macchiata di vernice rossa come il sangue.
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