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...E ora parliamo di Kevin

Regia di Lynne Ramsay vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su ...E ora parliamo di Kevin

di maghella
10 stelle

Avevo sentito parlare tanto di "E ora parliamo di Kevin", eppure ne avevo letto poco, proprio per arrivare alla visione del film con pochi pregiudizi. E’ un film importante, di quelli che piacciono tanto a me, che affrontano un tema difficile come quello del rapporto tra madre e figlio, utilizzando una storia e un linguaggio davvero originale.

L’inizio, la prima scena, è di quelle che ti bloccano subito sulla poltroncina della sala cinematografica: un "budello" di persone accalcate, una poltiglia umana che ricorda tanto un intestino, un utero, sangue mestruale... da tutto questo esce fuori il corpo di Eva, la protagonista del film, che improvvisamente si risveglia da questo incubo terribile per ritrovarsi in una realtà ancora più orribile.
Eva si risveglia e scopre che la sua piccola casa è stata presa di mira da alcuni vandali, che l’hanno insozzata di vernice rossa, ma lei non si inquieta.
Monta sulla sua macchina, anche questa tutta sporca di vernice, ma non si inquieta.
Trova un lavoro al di sotto delle sue capacità, ma lei lo accetta volentieri.
Viene presa a schiaffi da una donna che incontra per strada, ma lei incassa e scappa via.

Eva sopporta tutto quello che di squallido e umiliante le capita, sconta una pena anche se libera, come quella che sta scontando suo figlio Kevin di 17 anni in prigione, per aver ucciso, per aver commesso una strage nella sua scuola.
Il film racconta il presente e il passato della storia di Eva, che ricorda esattamente il momento preciso del concepimento di Kevin, in un momento di estrema felicità, durante un amplesso con il suo compagno, Eva mormora "stai attento, può essere pericoloso", si visualizzano gli spermatozoi che trovano terreno fertile nella pancia della donna, e la sveglia accanto al letto dove l’atto d’amore si consuma, segna in rosso le 12,01... Come se fosse un segnale d’allarme.
Eva non accetta la gravidanza, si trova a disagio tra le giovani mamme durante i corsi di pre-parto, una volta nato il bambino non lo sa gestire, piange sempre, rimane per lei un corpo estraneo, di cui ha paura.

Kevin sin da piccolissimo avverte questo rifiuto (forse quella frase durante l’amplesso "può essere pericoloso" rimane come un eco nell’utero?), e nasce una sfida tra madre e figlio, fatta di incomprensioni, capricci, atti di forza.
Kevin fin che può decide di non parlare e non interagire, fin che può decide di non fare cacca e pipì da solo, fin che può decide di non contare e di non scrivere.
Sfinisce la madre non dandole mai un segno di fiducia, di rispetto, di amore, ma anzi le fa capire quasi in maniera diabolica, comportandosi con il padre in maniera molto affettuosa e disponibile, che se solo volesse potrebbe essere il figlio modello che lei tanto vorrebbe.

Tutti questi aspetti dell’infanzia di Kevin ci vengono raccontanti altalenandoli con il presente della storia, nella quale Eva cerca comunque di non interrompere il rapporto con il figlio, andandolo a trovare in prigione, in lunghi incontri silenziosi, nei quali gli sguardi non si incrociano mai, nei quali la sfida tra i due continua come un interminabile duello, senza mai farsi domande, senza mai uno sfogo.

Intanto Eva conduce la sua vita solitaria, pulendo la casa dagli atti vandalici, cercando di lavorare, ma il passato continua a tornare negli sguardi della gente che silenziosamente o no la giudica severamente con odio, Eva sopporta, ma vive in un continuo stato di terrore di angoscia.
Solo durante una serata, nella quale il piccolo Kevin si sente male, tra madre e figlio si instaura un debole rapporto umano: Eva racconta al bimbo febbricitante la storia di Robin Hood, e Kevin si accoccola tra le braccia della madre, ascoltando ogni parola della donna, da quel momento Kevin diventerà un tiratore scelto con l’arco e le frecce, che saranno poi le armi con le quali compirà la strage.

Quello che più mi ha sbalordito nel vedere il film, è che non ho provato mai pena per la donna, in effetti sia Kevin che la madre sono due "mostri", il primo però lo è quasi per imitazione del secondo. Eva per tutto il film si sente inadeguata come madre perché sente di non provare veramente dentro di sé quello che sa che dovrebbe provare come madre, non ha mai voluto quel figlio, si è dovuta solo abituare alla sua presenza, e quando Kevin si è accorto di questo le ha reso questa "abitudine" la più difficile da prendere... Più che abituarsi a Kevin, Eva ha imparato a temerlo. I dispetti e i capricci che fa da piccolo ricordano quelli di un "anticristo" cinematografico, l’atteggiamento di continua sfida e provocazione che assume da grande ricordano quello di un teppista, di un deviato mentale.

Ad un certo punto Eva decide di avere un secondo figlio, ma sembra anche questa più una scelta di rivalsa e sfida verso il primo figlio indesiderato che vera voglia di maternità, e Kevin ripagherà questo affronto facendo del male alla sorellina più piccola.
Perché il padre in tutto questo non prende posizione? Perché non ci sono altre presenze affettive in quella famiglia (parenti, amici, insegnanti)? Semplice, perché il quadretto familiare fasullo, siccome tale, deve rimanere un tabù, non si deve scoprire che è all’interno della famiglia che nascono i mostri peggiori (bellissima la scena nella quale Eva picchia Kevin, rompendogli un braccio, e lui consapevolmente non racconta la verità con i dottori e con il padre, per poter sfruttare il senso di colpa della madre a suo favore). Il film è imperniato esclusivamente sul rapporto infetto tra madre e figlio, tutto il contorno è inutile, sacrificabile, e infatti Kevin elimina tutto il contorno, lasciando la madre sola a vivere quell’incubo di odio e angoscia che lui stesso ha subito per tutta la vita: una condanna, un ergastolo per entrambi, da scontare in modi differenti, Kevin dietro le sbarre, Eva tra la gente.

L’abbraccio finale tra i due, in prigione, è agghiacciante, non c’è una risposta al "perché" di Eva, ma l’abbraccio freddo e senza amore che la donna da al figlio (perché sente che lo deve dare, ma non si sente davvero di darlo) è la risposta più terribile del film: non si può scegliere di amare un figlio.
Mi dilungo ancora (parlerei di questo film per ore e sicuramente lo vorrò rivedere) per ricordare la splendida colonna sonora composta dal chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood, che sottolinea con canzoni allegre i momenti più difficili del rapporto e della vita di Eva con Kevin, a evidenziare come quello che appare dal di fuori molto spesso non corrisponde alla realtà delle cose.

Ottima la difficile regia di Lynne Ramsay che collabora anche alla sceneggiatura del film insieme a Rory Kinnear.
Bravi i due attori che interpretano Kevin da piccolo e adolescente, che si assomigliano anche nell’espressioni degli occhi, rendendo davvero continuativa la narrazione della storia.
Una standing ovation per Tilda Swinton, che davvero ci regala una interpretazione a tutto tondo di una donna difficile, un personaggio dalle mille sfaccettature, dando a tutto il suo corpo una capacità espressiva difficilmente visibile in altre attrici, da vera artista. La amo da quando fece "Orlando", credo che con questo ultimo film si sia conquistata la mia ammirazione a vita (per quello che può valere).
 

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