Regia di Radu Mihaileanu vedi scheda film
Con una trama esile e pretestuosa La sorgente dell'amore s'abbevera delle più stucchevoli e sfruttate fonti dell’insistente e impudente ammiccamento al pubblico, quello “occidentale”, quello bisognoso di rassicurazioni sulle condizioni di vita di certe aree, lontane (non in senso geografico) e dimenticate.
Non c’è sincera passione e non c’è realtà in questa pellicola modesta, in cui vengono assemblati artificiosamente, e con incomprensibile mancanza di senso e spessore, condotti di dubbia rilevanza aventi la sola funzione di veicolare esangui moraline del politicamente corretto, del politicamente verosimile.
Che poi sia, o appaia, chiaramente, tutto falso è un dettaglio collaterale, poiché l’importante è cullare l’infante (lo spettatore) - potenziale turista - saziandone la necessità primaria: l’inesauribile sete di non voler vedere, sapere, conoscere.
Che il film in sé, con tutti gli elementi esotici che contiene - ambientazione, costumi, tradizioni, volti - sia in grado di suscitare un forte grado di fascinazione è innegabile, ma questa viene presto annacquata dalla percettibile e celere opera d’”infiocchiettamento”, di costante ricorso ad abusati modelli, stereotipi ed espedienti - e senza nemmeno tanta abilità e/o convinzione -, col risultato di svilire le ampie possibilità di approfondimento delle varie tematiche e d’indurre altresì notevoli sospetti sulle intenzioni.
Il finale, che giunge dopo oltre due ore e diversi momenti di stanca, è prevedibile, consolatorio, buonista, alla “tarallucci e vino”; non è altro che la conferma di tutto quanto visto e temuto in precedenza. L’uso reiterato e iperscritto di metafore - dalle quelle più elementari a quelle più elaborate -, sempre poco efficaci fuorché per appagare blandamente gli istinti e le volontà più “carnali”, l’umorismo facile e innocuo, inconsistente, i “pesantissimi” stacchetti musicali di “alleggerimento” (già al terzo, per sfinimento, vien quasi voglia di andare a farselo il faticoso tragitto per trasportare l’acqua sulle spalle) completano la certosina attività di rendere “assimilabile” e (s)vendibile il prodotto, servendolo in una furbissima, imbellettata e assolutoria confezione.
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