Trama
In un villaggio tra l'Africa del Nord e il Medio Oriente, la tradizione vuole che siano le donne a recarsi a prendere l'acqua alla sorgente, anche d'estate, con il sole a picco e tutta quella strada da fare. Leila, una ragazza appena sposata, propone alle sue compagne uno sciopero originale, l'unico che è loro possibile: non faranno più l'amore con i loro mariti fino a che non saranno loro ad andare alla sorgente.
Approfondimento
MARITI IN BIANCO
L’idea per la realizzazione del film è venuta al regista Radu Mihaileanu grazie a una storia accaduta in Turchia nel 2001. In un piccolo villaggio, le donne erano costrette a recarsi in cima a una montagna vicina per prendere l’acqua da una sorgente e trascinare al ritorno il peso dei secchi pieni sulle loro spalle ormai contuse. Come nella Lisistrata di Aristofane, ormai stanche, le donne decisero che era arrivato il momento di porre fine a quella tradizione, che risaliva alla notte dei tempi, proponendosi il cosiddetto “sciopero dell’amore”, rifiutando di concedersi ai loro mariti. In un primo momento, gli uomini avevano sottovalutato le conseguenze della protesta ma con il passare dei giorni la storia è degenerata in violenza, tanto che sono dovute intervenire le autorità giudiziarie.
Da ebreo francese, Mihaileanu non si sentiva però pronto ad affrontare tematiche che conosceva relativamente poco. Avere a che fare con temi dell’Islam o del Corano richiedeva la conoscenza approfondita del materiale da trattare, per evitare i luoghi comuni o di fantasia che spesso si rincorrono nel rappresentare la cultura musulmana. In un primo momento, si è pensato che una regista donna di estrazione araba sarebbe stata ideale per trattare la storia con un punto di vista alternativo. Poiché nessuna sembrava interessata al progetto, Mihaileanu è stato convinto dai suoi produttori a prenderne in mano la regia, imponendosi sin da subito di prendersi tutto il tempo necessario per approfondire la vicenda da vicino, recandosi nel piccolo villaggio a parlar con le donne, in modo da cogliere impercettibili sfumature e differenti punti di vista. Era, inoltre, indispensabile che tutto il film fosse girato in arabo non solo per conferirgli autenticità e musicalità ma anche per fare in modo che i personaggi non parlassero usando l’accento straniero dei vari colonizzatori e ciò ha portato lo stesso regista a cercar di parlare con meno inflessione possibile e a reclutare attori che conoscessero la lingua.
In fase di sceneggiatura, poi, grande aiuto è arrivato sia dalla lettura di un elevato numero di scritti di donne arabe, libri di sociologia e opere sull’Islam, sia dagli incontri con alcuni esponenti di spicco della cultura araba, specializzati nello studio delle condizioni delle donne nella cultura musulmana. Dagli incontri faccia a faccia sono arrivati anche tanti aneddoti che sono finiti dentro al copione, cancellando le convinzioni radicate nella cultura occidentale. Attraverso le ricerche, ad esempio, è venuto fuori che le donne, anche nei villaggi più isolati, hanno accesso alle nuove tecnologie (spesso ancora allo stato rudimentale) ed entrano in contatto con altri stili di vita senza mai però rinnegare le proprie tradizioni. Questo ha fatto sì che la storia da raccontare finisse col diventare uno spaccato delle società orientali contemporanee, senza are indicazioni spazio-temporali, rappresentando tutto l’universo che ruota intorno alle donne, i loro rapporti con gli uomini, con i figli, con i genitori, con le suocere, con il lavoro, con le feste, con la musica e via di seguito.
IL COMITATO CENTRALE
Ogni personaggio del film è legato a biografie di donne realmente vissute in quel villaggio nel corso degli anni. Ad esempio, la vicenda del personaggio di Leila ricorda la storia di una guida turistica che ha sposato una donna di un villaggio diverso, una donna che tutti hanno sempre considerato la “straniera” e che il marito ha sempre difeso. È grazie a questa condizione da outsider, che la vede al centro di due culture – quella del deserto in cui è cresciuta e quella della montagna in cui si è trasferita – e da sempre guardata con occhi diversi, che Leila può guidare la rivolta delle donne senza temere nulla e con la protezione del marito. A Leila è stato affiancato poi il personaggio di Mamma Rifle, su immagine di un’anziana vedova che ha acquisito una certa notorietà per aver denunciato in passato le violenze fisiche e psicologiche del marito e che, non avendolo più tra i piedi, non ha nessuno a cui dover dare conto o ragione delle sue attività. A lei spetta il compito di incarnare la “giustizia della pace” attraverso i canti che intona e che accompagnano la vicenda, condannando le debolezze degli uomini. Attorno a loro, si muovono le donne più militanti, quelle che costituiscono il nucleo del comitato centrale dello sciopero. Sono tutte donne alla ricerca di affetto e attenzione, tanto che si consolano guardando le telenovele messicane o egiziane o si legano in maniera viscerale ai loro animali (come ad esempio Esmeralda che non smette mai di dire “ti amo” ai suoi pappagalli). Grazie al rapporto di amicizia che creano tra loro, trovano anche il tempo per evadere dal loro sciopero e confrontarsi su aspetti più divertenti, come ad esempio i piccoli problemi di natura sessuale. Nonostante gli uomini rappresentino l’altra parte della barricata, il “nemico” da affrontare, nessun personaggio maschile è caratterizzato con tratti del tutto negativi. Esiste una spiegazione, anche se non apparente, alle azioni di ognuno di loro che li fa apparire più umani sia alle donne sia allo spettatore: il fratello di Sami è un gran cafone perché non ha mai trovato il grande amore della sua vita, il figlio di mamma Rifle è diventato un fondamentalista islamico solo per non perdere la faccia, dato che altrimenti non avrebbe potuto trovare i soldi per mantenere la famiglia.
INNO ALL’AMORE
Nonostante il tema centrale possa apparire la battaglia dei sessi per il raggiungimento di equi diritti, la colonna portante di tutto il film è l’amore che muove le fila delle azioni delle donne. Lo sciopero dell’amore nasce proprio dall’esigenza di essere riconsiderate e rispettate, in primo luogo, come innamorate. Non è casuale che l’acqua sia al centro della vicenda: molti canti della tradizione araba insegnano infatti che l’uomo deve fornire acqua alle donne, in modo che queste possano continuare ad innaffiarli e farli rinvigorire come si fa con i fiori. Quindi, lo sciopero può anche essere considerato come un’esplicita richiesta tesa a salvaguardare anche il bene degli uomini stessi: se loro non provvedono a recuperare l’acqua dalla sorgente, sul villaggio planerà una siccità che rischia di bruciare anche le loro radici, oltre che far appassire i loro cuori. Come nelle Mille e una notte, le donne riscoprono anche la loro sensualità e la loro sessualità, allontanando il preconcetto rurale secondo cui le mogli non sono altro che madri di figli, portando le protagoniste ad esigere attenzioni anche per il loro piacere fisico e a prendere consapevolezza del proprio corpo, anche attraverso strumenti tipici della cultura araba come la musica e la cucina. Questa riscoperta ed emancipazione è possibile soprattutto all’educazione e alla cultura, ai processi di apprendimento che porterebbero a rompere uno dei tabù dell’Islam: “il dovere dell’essere umano è quello di elevarsi attraverso la conoscenza”, ricorda Leila, sottolineando che in nessuna parte del libro del Corano è indicato che le donne non possono cercare la loro interpretazione dei testi sacri dell’Islam.
Note
Tutto si muove nel perimetro di una visione eurocentrica di una banalità suprema. Che incuranti del dibattito in corso sul post colonialismo, Francia e Belgio c’infliggano tale prospettiva del mondo arabo ha dell’incredibile. Come dire che il colonialismo, filtrato dal politicamente corretto, in un mondo dove (orrore!) nessuno è razzista (sarà…), ritorna come kitsch etnico. Nel disastro si salvano solo, ma non significa nulla, la magnifica Leïla Bekhti (Il profeta) e la splendida Hafsia Herzi (Cous cous).
Trailer
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Commenti (3) vedi tutti
E’ sempre un piacere, per me, la visione di un film di Radu Mihaileanu, anche quando il regista tratta temi meno legati alle sue origini ebraico-orientali, come Train de vie o Il concerto.
leggi la recensione completa di laulillaUna favola (che non dev'essere rifugio né lasciapassare) in cui lo stereotipo (non sempre un male) viene risucchiato dall'utopia (non sempre un bene).
leggi la recensione completa di mckSi veda: http://www.film.tv.it/film/44740/in-time/opinioni/621631/
commento di Davide Schiavoni