Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film
Le Havre porto mercantile della Normandia, punto di fuga di merci, luogo di passaggio di corpi e storie accatastate nei container. In questo strappo di mare Kaurismäki ritaglia un’isola che non c’è, abitata da strani personaggi pacificamente arresi alla tumultuosa contemporaneità occidentale. Hanno smesso di attendersi qualcosa e vivono sul loro palco privato un’esistenza scandita dal presente, personaggi beckettiani che hanno fatto pace con il loro privato Godot. Le Havre è un altro spazio, i vicoletti umidi accarezzati dalle tenui luci dei bistrot e un altro tempo, lento, in cui la commedia umana sembra rallentare fino a fermarsi. Sono i reietti di Kaurismäki, gli altri. Quelli che non si vedono e vivono a scartamento ridotto, possessori di un’umanità preziosa, possibile solo quell’isola ipotetica che esiste solo nella poetica del maestro finlandese.
Poetica degli sguardi fieri su mestieri umili, dove l’esclusività dell’essere umano mai viene messa in discussione. In questo tempo parziale esiste solo l’uomo nella sua essenza che prescinde da qualsiasi razza o ceto sociale. Aiutare è nell’ordine delle cose e il poco è pur sempre divisibile. Magia del cinema, miracolo della messa in scena svuotata da qualsiasi sovrascrittura, la favola ottimista di Kaurismäki è un gioiello di rarefazione, raffinato nei cromatismi che offrono all’occhio sempre un punto di fuga – quindi salvezza - nei particolari rossi ritagliati su fondi blu o verdi e che accordano l’intensità della luce al tranquillo languore che suggeriscono.
Il lavoro sui colori complementari si accorda alla complicità tra anime alla deriva nella storia di immigrazione clandestina e salvezza di Idrissa, piccolo bimbo nero accolto dall’ex bohemien Marcel, lustrascarpe felice. In una stessa inquadratura esiste in miracoloso equilibrio l’ironia e la favola, la tragedia e la salvezza, la farsa e l’attualità. Solo il cinema può tanto e anche di più. Il miracolo avviene davvero, in quella piccola isola che non c’è il destino si prende una pausa dall’inevitabile e regala un momento di vera poesia.
Il film non dura un minuto di più del necessario, i personaggi hanno il giusto numero battute, non una parola di troppo, nessun orpello e quindi nessun fraintendimento. Gli sguardi sinceri disegnati dalle rughe dei volti risaltano nella pulizia della scena, è tutto chiaro sotto i nostri occhi per chi vuol vedere. Il miracolo così costruito è la naturale evoluzione di un mondo povero e perfetto, di rapporti umani che scaraventano all’indietro la memoria in un tempo tanto remoto che forse non è mai esistito. Hanno smesso di attendersi qualcosa i reietti di Kaurismäki, ma sono fiduciosi e limpidi nella loro onesta esistenza. Se Godot decidesse una buona volta di fermarsi, forse si fermerebbe a Le Havre.
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