Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film
Le Havre, città di frontiera, limite estremo di un continente che si affaccia sul mare, al di là del mare, la speranza. Speranza di un mondo migliore per Idrissa, adolescente gabonese che sogna il ricongiungimento con la madre, clandestina a Londra. Ma l’isola che non c’è non è la terra di Albione, bensì un quartiere popolare della cittadina francese, microcosmo alieno al nostro mondo dove un’umanità di reietti e uomini semplici conservano quei valori di fratellanza e mutuo soccorso che la società moderna ormai rifugge. E’ Marcel Marx, lustrascarpe trasferitosi a Le Havre dopo una vita da bohème a Parigi, a prendere a cuore il caso di Idrissa. L’intero quartiere appoggerà l’iniziativa di Marcel, proteggendo Idrissa da un nugolo di gendarmi sempre al suo inseguimento, mossi dalle delazioni di un Jean-Pierre Léaud che con occhio severo vigila come un Grande Fratello. Kaurismaki tratteggia il Potere come un qualcosa di indistinto, di massificato, perché semplicemente è il Nemico. E quando qualcosa si smuove tra le maglie del Potere è allora che una figura emerge. L’ispettore Monet si lascia trasportare dalla propria umanità in aiuto di Idrissa e il suo gesto sarà determinante per il futuro del giovane africano. Kaurismaki sembra quasi suggerire che la spinta per un mondo migliore deve venire dal basso, perché è tra gli umili che l’umanità alberga ancora. Marcel Marx come un qualunque John Doe sovverte l’ordine delle cose e il premio finale sarà la salvezza della moglie Arletty, afflitta da un male incurabile, perché il cancro che Marcel riesce a estirpare è quello che affligge le nostre anime. Intorno a Marcel personaggi che di surreale hanno solo il modo d’agire, uomini veri e dignitosi, gente comune, panettieri, fruttivendoli, baristi, pescatori, talvolta “invisibili” come il vietnamita Chen, privo di permesso di soggiorno, talvolta dimenticati, come la vecchia pop-star Little Bob. Kaurismaki ammicca a Capra e De Sica, ma lo fa in maniera personalissima, gioca sui contrasti cromatici e ci consegna una pellicola intrisa di una poesia malinconica. Il film si chiude con Marcel e Monet che si dirigono insieme al bar, Idrissa è partito e questo può essere l’inizio di una bella amicizia. Perché Le Havre è fatto della materia di cui sono fatti sogni, la realtà che viviamo, purtroppo no.
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