Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film
Quando mi capita di vedere un film deludente (e mi capita di rado perchè con quello che costa oggi un biglietto, cerco sempre di fare scelte oculate) il mio compito di recensore superdilettante diventa più facile, basta individuare dei punti critici e magari dileggiarli con un pò di sana ironia. Ma quando hai la percezione di aver appena visto un capolavoro, ecco, lì il gioco si fa duro. Perchè sovente è difficile restituire con la parola scritta certe emozioni, o un certo senso di appagamento che solo un buon film può generare (qualcuno dice anche un buon libro, ma di questo discuteremo un'altra volta). E sotto questo aspetto, diciamo che quello attuale è un momento fortunato. Fra pochi giorni infatti potrò godere del nuovo Woody Allen, dal quale mi aspetto (non lo nascondo) tantissimo. E proprio ieri ho visto (per la seconda volta nel giro di un paio di giorni e sempre in sale gremite) questo ultimo Kaurismaki in cui ho ravvisato un assoluto capolavoro. Questo è uno di quei film (e me lo sento che con il Woody Allen in arrivo dovrò ricorrere di nuovo a formule e frasi similari) di cui ogni cinefilo rischia d'innamorarsi perdutamente. A me è capitato proprio così. Già alle primissime immagini ero estasiato. Quei colori pastello, quelle tinte tenui....e dopo è stato tutto un amoreggiare tra il sottoscritto e quei personaggi, sullo sfondo di una città raccontata in modo magnifico, come una favola delicata e colma di poesia, ma non una poesia stucchevole, perchè contaminata da una straniante e stralunata ironia. E tutto questo senza mai edulcorare la vicenda, anzi aprendo squarci di raggelante e straniante ironia i quali nemmeno ti danno il tempo di esserne perplesso perchè nel frattempo ti hanno già conquistato (un commissario di polizia che entra in un bar con un ananas in mano...). E' un cinema di corti circuiti meravigliosi e sorprendenti, che ti riscalda il cuore e al contempo titilla irresistibilmente l'anima curiosa del cinefilo. La domanda che emerge spontanea è: "come può un cinema che dovrebbe teoricamente rispecchiare l'anima gelida dei paesi nordici riuscire ad emanare tanto calore?". Ed è qui che casca l'asino. Ci sono registi che provengono dagli stessi paesi freddi (o comunque dalle stesse aree geografiche) ma producono un cinema che esprime intellettualità algida e supponente (Von Trier in primis), cioè (se vogliamo dirla tutta) un cinema per quei fighetti che volentieri si cibano di qualcosa che li faccia sentire parte di una élite (e lasciatemi aggiungere che -ogni riferimento al suddetto cineasta danese non è affatto casuale- in taluni atteggiamenti io scorgo macchie di retropensiero nazista). Il miracolo vero dunque non si compie solo a Le Havre, ma nella mente e nell'attitudine del genio di Aki Kaurismaki, superbo artefice del cinema come Arte Popolare. Il suo universo reca in sè l'anima fredda e taciturna dei paesi dei grandi ghiacci, eppure riscalda il cuore proprio perchè elabora con sapienza i silenzi, i dialoghi surreali dotati di scambi di battute fulminanti e stranianti, secondo criteri che trasformano tutto ciò in calore, Umanità, Solidarietà. E questo adottando una semplicità cristallina e un linguaggio che arriva al cuore di tutti, esattamente all'opposto di chi fa cinema utilizzando simboli fastidiosi e posticci all'insegna di un estenuante intellettualismo. Oltretutto poi, a contrastare il mito della freddezza nordica, nell'arte di Kaurismaki fanno capolino esperienze assolutamente sanguigne e popolari come quella dei godibilissimi Leningrad Cowboys. L'evocazione appena fatta del leggendario gruppo, mi fornisce il pretesto per una segnalazione inerente al film di cui stiamo argomentando. Se parliamo di Leningrad Cowboys, noi parliamo di rock'nroll, su questo non ci piove. Bene. E cosa fa Kaurismaki in questo suo ultimo lavoro? Semplicemente, va a pescare un attempato eroe in disarmo della scena rock francese e lo colloca di nuovo al centro del palco, coi riflettori puntati sul suo fisico tarchiato e sulla capigliatura ormai canuta. Quell'uomo si chiama Roberto Piazza, in arte Little Bob, e la sua sagoma un pò goffa racchiusa dentro un "chiodo" da old school rocker, qui sembra evocare le movenze del rock'n'roll più stradaiolo, quello che un tempo esprimeva soprattutto voglia di indipendenza e libertà. E quanto appena detto ci conforta nella nostra visione di un regista schierato da sempre con tutto ciò che viene dal basso, ciò che esprime i valori di una civiltà solidale, a partire dai sentimenti che uniscono gli animi sensibili di tutti i Losers di questo mondo. Le Havre città dei miracoli. Ma il miracolo più entusiasmante si consuma sotto i nostri occhi di cinespettatori. Ed è il miracolo officiato da un cineasta che ci presenta un film dai toni di una fiaba, e su questo non c'è dubbio: basti pensare al personaggio della moglie (raggiante nel suo abito giallo), oppure al ciliegio in fiore che addolcisce un finale dove un sublime vento di Poesia neutralizza ogni pericolo di melassa incombente. Insomma tutto ci fa respirare Fiaba e Poesia. Eppure...l'aspetto che più balza evidente dell'opera è il suo dolente richiamo alle tematiche più che mai attuali dell'immigrazione e degli spostamenti di chi fugge dalla miseria in cerca di serenità e pace. Ecco dunque il vero miracolo operato da Kaurismaki: proporre, utilizzando un registro di favola lieve e vagamente stralunata, un tema che più concreto e drammatico non si potrebbe. E il tutto raccontato senza codici o simboli, tutto alla luce del sole, in modo che esca fuori chiara la natura degli Uomini, siano essi cittadini "poveri cristi" solidali, oppure reazionari frustrati come il vicino di casa spione e delatore, oppure -ancora- persone disponibili a una sosta di riflessione che rimetta in discussione le proprie certezze, come accade al commissario di polizia in crisi di identità. La storia, bellissima e scritta dallo stesso regista, è quella di un uomo sui 60 anni che conduce un'esistenza povera ma dignitosa, e che sopravvive facendo il lustrascarpe. Egli vive in una modesta casetta assieme alla moglie e a un cane. Nella sua vita accadono contemporaneamente due cose importanti: la grave malattia che colpisce la moglie e l'occasionale conoscenza con un bambino africano di passaggio a Le Havre e diretto verso Londra alla ricerca della madre. Il rapporto con questo ragazzo arricchirà entrambi, fornendo a ciascuno dei due coraggio e stimoli per affrontare gli ostacoli della vita. Quanto alla moglie malata, io non dirò ovviamente nulla, anche se molto si può intuire dal titolo del film. Gli attori sono tutti bravissimi, a partire dall'ormai notissimo volto del francese Jean Pierre Darrousin, fino allo special guest Jean Pierre Lèaud, senza escludere ovviamente la formidabile coppia protagonista (André Wilms e Kati Outinen), e poi naturalmente tutti gli adorabili cittadini di Le Havre. Concludendo. Fa bene al cuore vedere come questo regista "venuto dal freddo" riesce a mettere esperienza e arte al servizio dei Perdenti di Le Havre, che condividono dignità e speranza coi Perdenti di tutto il mondo. Una favola dai colori pastello che non dovete perdere per nessuna ragione.
Voto: 10
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