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Il ragazzo con la bicicletta

Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film

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La recensione su Il ragazzo con la bicicletta

di amandagriss
8 stelle

Il dodicenne Cyril  (l'esordiente Thomas Doret), lasciato dal giovane padre (Jérémie Renier, attore 'feticcio' dei Dardenne) in un centro d'accoglienza per minori, trascorre i suoi giorni dilaniato dalla crudele illusione di ritornare quanto prima a vivere con il proprio adorato papà, tanto più che questi ha in custodia la sua preziosa bicicletta, il solo unico oggetto che lo lega al genitore, il solo unico contatto con il mondo esterno, mezzo indispensabile per attraversare la città e andare alla sua disperata ricerca, lui che intanto di sé ha fatto perdere le tracce. Sarà una parrucchiera, la bella ed energica Samantha (Cécile De France), imbattutasi nel piccolo per caso, a cingerlo in un caldo abbraccio e garantirgli, non senza difficoltà, tutto quell'amore e dedizione che, in mancanza di una famiglia, non ha ricevuto. Si instaurerà un profondo, intenso legame teso a mutare le loro vite, a proiettarli verso un destino meno tragico e solitario. Che ogni film dei fratelli Dardenne sia una dichiarata coltellata al cuore è oramai un fatto scontato. Anche Il ragazzo con la bicicletta non fa eccezione. È la discesa in un dolore, di certo, fra quelli più devastanti che l'essere umano possa conoscere: ‘essere rifiutati da chi ci ha messo al mondo mentre ostinatamente, ciecamente si continua a credere, con assoluta convinzione, di essere amati e voluti proprio da chi, senza pietà, ci ha voltato le spalle’*. Ma qui l'affondo, per quanto invasivo, non permette alla ferita di sanguinare copiosamente, al dolore, fortissimo, di pulsare per un tempo troppo lungo (da sembrare infinito) da rendere impossibile alcun margine di ripresa. Opera di garbata levità, asciutta, essenziale, dove ancora una volta prevale quello sguardo attento, lucido, disincantato -chirurgico- con cui i due volte Palma d'Oro a Cannes per Rosetta e L'enfant, si rivolgono ai loro personaggi, seguendoli, silenti e partecipi, nel loro lacerato, precario vissuto (bellissima la lunga coraggiosa ripresa del ragazzino in bici nel cuore della notte, più eloquente di mille parole). La realtà che raccontano è davvero una brutta bestia, ma stavolta la percepiamo ' fiabesca ', protetta e cullata da una positività di fondo che smussa le insidiose spigolosità del quotidiano, ne attutisce i colpi, ne leviga le asperità, ne risana le ferite, altrove inguaribili. Forse, davvero, per la prima volta assistiamo ad una conclusione più serena e rassicurante che spazza via quell'angoscia, incertezza e smarrimento soffocanti, elementi distintivi del cinema dardenniano. Il film si fa portatore di una grande verità, per quanto elementare e retorica possa essere: quando c'è amore, quando c'è qualcuno per qualcun altro, tutto ha un senso, (quasi) tutto è possibile; si fa spazio la disperata speranza, prende vita l'idea di non dover necessariamente soccombere. L'appena percettibile, tremolante spiraglio di luce gettato sui finali di opere precedenti come L'enfant o Il matrimonio di Lorna, qui si fa fitto deciso duraturo caldo raggio di sole, capace di fendere l'oscurità di esistenze mortificate, regalando anche ad esse un semplice, autentico sorriso. Trovare una strada. Afferrare il miracolo di una vita migliore. E così, quando la suoneria del cellulare che Samantha ha regalato a Cyril  -altro oggetto/simbolo (insieme alla bici) che unisce con un filo invisibile la donna al ragazzino- comincia a squillare, lui, preda di un sonno di morte, risponderà al suo richiamo risvegliandosi, andando incontro al futuro che lo attende, lasciandosi dietro quel bosco, quella strada e, con essi, gli errori del passato.

 

*Mario Sesti

 

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