Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
I Dardenne girano pochi film, ma fanno centro ogni volta: il loro realismo si dimostra il più potente fra quelli in circolazione al cinema al giorno d'oggi, il più rivelatore di degrado e ingiustizie sociali, il più intriso di "pietas" umana, il più efficace dal punto di vista della rappresentazione cinematografica. "Il ragazzo con la bicicletta" non fa assolutamente eccezione, e non mi sembra davvero la concessione alle regole del cinema commerciale che è stata sostenuta da qualche critico: sicuramente il linguaggio è più accessibile e la trama più movimentata rispetto all'estrema austerità e scarnificazione stilistica di film come "Il figlio", ma il risultato finale non perde in rigore, limpidità di scrittura e pregnanza di significati. E, comunque, la vicenda del piccolo Cyril abbandonato dal padre in un orfanotrofio e facile preda di gang di sfruttatori che lo porteranno ad un passo dalla tragedia, mi sembra caratterizzata in maniera estremamente ricca, sociologicamente attendibile e per nulla consolatoria o appiattita su schemi oleografici. Il rapporto fra Cyril e la giovane parrucchiera che gli fa da madre adottiva è pieno di sfumature che risultano credibili e fanno pensare alla vita di tutti i giorni, e naturalmente trae buona parte della propria forza dalle ottime interpretazioni di Cécile de France (forse la prima "diva" utilizzata dai Dardenne, perfettamente calata nel ruolo) e del giovane Thomas Doret; incisivo nel breve ruolo del padre l'attore-feticcio dei due registi Jéremie Renier. Le immagini sono più luminose e soleggiate rispetto a quelle, talvolta cupe, dei film precedenti, ma sono girate col consueto talento compositivo e in certi momenti possiedono una capacità di emozionare che non sempre si trovava nei primi film (ad esempio quando Cyril torna dal "colpo" andato male e riesce ad ottenere il perdono di Samantha, che lo stringe in un abbraccio liberatorio). Il finale resta un pò troppo "in sospeso" per i miei gusti e avrei preferito una conclusione più netta, comunque si tratta di una scelta in linea con un'estetica precisa e va rispettata (non posso dire di più per non rivelarlo), la musica di Beethoven interviene in alcuni momenti, ma resta comunque assente per gran parte del film. A Cannes i due registi sono andati vicinissimo alla terza Palma, vincendo stavolta il Grand Prix: il fatto che ogni giuria si senta quasi obbligata a premiarli non attesta forse una maestria che li pone praticamente all'apice del cinema contemporaneo?
voto 9/10
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