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Il ragazzo con la bicicletta

Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film

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La recensione su Il ragazzo con la bicicletta

di ed wood
8 stelle

Coi Dardenne, si va sul sicuro. Per molti, questo è considerato un limite. Tanti detrattori liquidano i fratelli belgi come registi "da festival", ossia artefici di un'etica/estetica cinematografica in grado di accontentare quella nutrita schiera di euro-cinefili che vede nel realismo sociale, messo in scena con linguaggio spoglio e anti-retorico, la via più onesta per fare cinema, ripudiando provocazioni e sperimentalismi (Haneke, Von Trier: piacciano o meno). Per quanto mi riguarda, il fatto che coi Dardenne "si vada sul sicuro" è un pregio, in quanto dimostra la loro statura autoriale, la capacità, propria solo dei Maestri, di farsi riconoscere da una singola inquadratura. Non annoiano mai, i Dardenne, anche se questo "Il ragazzo con la bicicletta" non aggiunge praticamente nulla alle loro opere precedenti: ancora una pre-adolescenza crudele, inquieta, disperata ("Rosetta"); ancora una paternità non voluta ("L'enfant"); ancora una maternità virtuale ("Il matrimonio di Lorna"); ancora una famiglia slegata dai legami genetico-biologici ("Il figlio"). E anche in questa occasione, l'ansia di vivere, la ricerca spasmodica di una figura paterna, il rifiuto del denaro come obiettivo di vita e della vendetta come logica di socialità, si avvalgono dell'impareggiabile veicolo espressivo di una mdp che a forza di precisissime sciabolate, vertiginosi carrelli, calibrati jump-cut riesce a rendere pienamente il senso di una vita violenta, meschina e disperata. Coi consueti Rossellini e Bresson come numi tutelari, ma fin dagli esordi portatori di una cifra riconoscibile fra mille, i Dardenne continuano a cogliere l'essenza della vita, nelle sue condizioni psicologicamente e sociologicamente più estreme: quelle dei deboli, degli sfruttati, di coloro che sanno di essere carne da macello, ma che si battono per uscire dalle sabbie mobili, pur senza intravedere una fine al loro laico calvario, di quelli costretti a correre e a sanguinare, senza pace. A "Il ragazzo con la bicicletta" si può rimproverare il fatto di non aver sviluppato adeguatamente le figure di contorno (la parrucchiera, "madre d'appoggio", avrebbe meritato più spazio in fase di sceneggiatura, dopo quella brillante ed emozionante entrata in scena con quell'abbraccio fortuito e fatale col ragazzo, al Pronto Soccorso, tipico momento dardenniano di "slittamento" fra una dimensione puramente realistica ad una sottilmente metaforica), a favore di un pedinamento ossessivo del protagonista. Così come il finale, al solito aperto, può lasciare un po' perplessi. Quello che non si può proprio appuntare ai Dardenne, neanche in questa ennesima variazione della loro poetica, è quell'incontenibile mix di tensione, pietas, durezza, furore, consapevolezza e istinto, fisicità e grazia che rendono imprescindibile il loro sguardo sgomento sulle vittime della società contemporanea.

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