Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
Fa un certo non so che rivedere Jérémie Rénier nel ruolo del padre del piccolo protagonista, questo padre che Cyril cerca con rabbiosa ostinazione fin dal primo fotogramma e che si fa attendere e desiderare per un buon tempo: “Les Frères” già gli avevano affidato il ruolo del genitore non propriamente modello nel film “L’Enfant”, è chissà se qualcuno ha avuto l’idea di chiedere ai due inseparabili registi se ci sia stata, in questa scelta, l’intenzione di unire con un filo sottile i due lavori, o se sia stata una semplice coincidenza. Fatto sta che a Rénier tocca ancora la figura del padre degenere (ma Cyril è il Bruno cresciuto dell’altro film??), questa volta defilato e secondario rispetto al giovanissimo Thomas Doret, figura dominante del film (un faccino rosciolino che, se non fosse per l’accento, starebbe benissimo nei film di Loach), straordinario nel piglio espressivo (testa bassa, sorrisi col contagocce – solo due per tutto il film) e nella elettrica dinamicità (come salta, e cade, e pedala, e mena….. notevole!), e alla brava Cécile De France, perfetta fatina dolce, virago quanto basta per non degenerare nell’eccesso fiabesco, personaggio sospeso tra logiche domande cui il film, volutamente, non risponde. I pluripalmati Dardenne Bros. più frizzanti del solito: questa volta qualche pennellata di Beethoven (cioè di Alfred Brendel che lo esegue con la London Simphony nel celeberrimo 5^ concerto per pianoforte) spezza il consueto silenzio tombale (musicalmente parlando) dei loro film (avanti di questo passo, per un pezzo intero di Edith Piaff ci vorranno almeno altri venti film...), e anche i dialoghi sono più briosi, dovuto probabilmente all’overdose di argento vivo che i registi hanno messo in circolo nelle vene dello spiritato Cyril. Buon film, meritato Gran Premio della Giuria all’ultimo Cannes 2011.
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