Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
La sensazione che ho provato all'uscita dalla sala è stata quella di chi ha appena respirato una boccata d'aria pura, o di chi, dopo un acquazzone estivo, vede profilarsi i colori dell'arcobaleno e respira l'aria tersa e purificata tutt'intorno a sè. L'ennesimo gioiello che ci perviene da quella premiatissima azienda a conduzione famigliare che ha come ragione sociale "Fratelli Dardenne". Purezza. Rigore.Coerenza. Ormai il marchio di fabbrica dei due cineasti belgi ci è noto. Nel bene e nel male. E dico così perchè, pur essendo io devoto estimatore del loro cinema, voglio provare a fare l'avvocato del diavolo. Cosa imputano, di solito, ai Dardenne i loro detrattori? Di praticare un'idea di cinema la cui scarnificata essenzialità genera noia. E qui vanno dette due cose. La prima è che i detrattori avranno una sorpresa da questo film, che è sicuramente uno dei meno "poveri" della cinematografia dardenniana. Non che questo significhi gran spiegamento di mezzi ed attori, tuttavia questa pellicola è molto più drammaturgicamente convenzionale e più "commestibile" di tante altre che l'hanno preceduta. Non intendo affatto affermare che siamo di fronte a dei Dardenne "più commerciali". No, loro sono quelli di sempre, solo più fruibili, più godibili. Diciamo che il loro consueto rigore stavolta si coniuga, più che con lunghi silenzi estenuanti, piuttosto con immagini palpitanti e con una vicenda che prende al cuore e allo stomaco fin dalla prima inquadratura. Però c'è un secondo aspetto che vorrei affrontare e che attiene allo "stile" consolidato dei Dardenne. Io in realtà non mi sono mai annoiato col cinema dei due fratelli belgi. Certo, magari come ha scritto Curzio Maltese "il loro cinema non è una passeggiata nel buonumore", ma quel sentimento di noia da più parti vagheggiato, personalmente non mi ha mai contaminato. E questo perchè, se è vero che alcuni loro film sono scarni fino all'estremo, devo però affermare con forza che i temi affrontati, i casi umani delineati e gli attori che a tali casi hanno prestato il volto...tutto ciò è sempre stato così interessante ed appassionante da mantenere sempre elevato il mio livello di attenzione e di partecipazione emotiva ad ogni loro nuova proposta cinematografica. Intendo dire che, a fronte di uno stile spesso spartano, esiste una sorta di compensazione emotiva (a cui concorrono ambienti personaggi ed umanità rappresentata) talmente ricca e potente da alimentare un'idea di cinema nobile e altissima. Il loro cinema non (si) distrae, non disperde energie, va dritto al cuore del problema e al cuore dei personaggi. Per lo più personaggi problematici, che non possono lasciare indifferente lo spettatore. E poi loro, i Dardenne, non sono persone tetre, anzi li vediamo spesso fotografati che sorridono, quasi a voler scacciare uno stereotipo. Certo, nessuno può negare che buona parte del loro cinema sia impregnato di pessimismo, tuttavia sarebbe sbagliato associare la loro coerenza rigorosa e il loro impegno civile ad un'idea di cinema cupo e ripiegato su sè stesso. E, giusto per chiudere la riflessione, è stato sottolineato in svariate sedi di recensione quanto quest'ultima loro prova evidenzi una sostanziale apertura a soluzioni di speranza e moderato ottimismo. Chiedo scusa per le dissertazioni in cui mi sono dilungato, ma mi dovevo togliere un sassolino dalla scarpa: quello di confutare il luogo comune dei Dardenne noiosi e tristi. Posso solo aggiungere che il Cinema, se per alcuni è "la Grande Illusione", per i Dardenne esso rappresenta "la Grande Verità". In altri termini, loro non regalano Suggestioni, ma bensì Emozioni (se le parole hanno ancora un senso). La storia ha per protagonista il dodicenne Cyril, parcheggiato in un orfanotrofio dopo che il padre ha scelto di abbandonarlo. Egli vive instintivamente nell'ossessione di rintracciare il padre, ad ogni costo. Il destino farà incrociare il suo percorso con quello di una giovane parrucchiera che, coraggiosamente, affronta la scommessa di prendersi cura di un bambino evidentemente problematico. E vincerà la sfida, pur tra mille difficoltà ed ostacoli. La ricerca del piccolo Cyril si scontrerà con una realtà dura come lui non avrebbe mai concepito, fatta anche di un padre che non ne vuole più sapere del figlio. Nel frattempo Cyril cederà alla tentazione del Male, rappresentato da un delinquentello di periferia che cercherà di plagiarlo, ma evidentemente il nostro protagonista dispone di una base sana, perchè il suo sbandamento durerà poco e il piccolo Cyril saprà approdare al porto giusto, quello della parrucchiera Samantha, persona generosa e paziente che ci metterà l'anima per vincere la sua sfida. I due personaggi principali sono raccontati molto bene da una buonissima sceneggiatura. Vediamoli nel dettaglio. Samantha è persona semplicissima, i cui principi morali non le impediscono di rispettare la personalità di Cyril e di ascoltare la sua voce e i suoi pensieri. Lui rappresenta la purezza e l'istinto scevro da calcoli di convenienza. Le persone che lo circondano, infatti, (escludendo ovviamente Samantha), chi per un verso chi per l'altro, si muovono a seconda di ciò che loro conviene. (Al padre "non conviene" tenere il bambino con sè, sarebbe un impedimento...Al giovane spacciatore "conviene" utilizzare Cyril come manovalanza per i suoi piccoli crimini...All'edicolante "conviene" comportarsi -nel finale- da pavido e vigliacco per evitare complicazioni). Cyril no, lui è fatto di un'altra pasta. Lui affida il suo istinto ad un unico criterio:la fiducia. Lui obbedisce solo a colui di cui si fida, anche se poi si deve ricredere quando sbatte il muso contro il muro. Prima ha fiducia solo nel padre e successivamente nello spacciatore, ma in entrambi i casi realizzerà di aver dato credito a chi non lo meritava. Finchè non si renderà conto che Samantha è la sola persona che lo rispetta e che si sforza di ascoltarlo davvero. Il cast è scelto dai Dardenne con la consueta cura. Non poteva mancare una comparsata del loro attore feticcio storico, Olivier Gourmet. Il piccolo Thomas Doret è straordinario e non c'è altro da aggiungere, perchè la sua interpretazione è sublime. Quanto a Cecile De France, si può dire solo che la bella attrice belga è in continua crescita, mostrando una versatilità eccezionale, che le consente di recitare senza problemi nei contesti più diversi: l'abbiamo ammirata come vittima disperata di un serial killer, poi come elegante turista travolta dallo tsunami, e adesso nelle vesti di un'umile ma determinata parrucchiera. Il film ha appena incassato a Cannes il gran premio della giuria. Ma temo che questo non gli servirà a farsi largo in un mercato italiano che in questo momento è troppo occupato a distribuire quantità industriali di occhialetti per vedere le smorfiette tridimensionali di Johnny Depp. Se guardo alle pochissime sale, qui dalle mie parti, che hanno in proiezione questo film, ho la triste percezione che esso passerà quasi inosservato. Ma poi, chissenefrega della nostra italietta berlusconiana, alla cui faccia i Dardenne resteranno per sempre tra i Maestri del cinema contemporaneo. E mi piace concludere con un omaggio ideale a quel fantastico mezzo che è la bicicletta, il più povero di tutti ma anche il più pulito e il più resistente ed economico. In questo film la bicicletta assurge a simbolo di speranza ed ottimismo. Sarebbe bello se avesse questa funzione anche nella vita quotidiana di ognuno di noi.
Voto: 10
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