Regia di Julia Leigh vedi scheda film
Giovane e graziosa, Lucy si mantiene agli studi con i più disparati lavori, dalla cavia per test medici alla cameriera, dal fare fotocopie per una grande azienda al prostituirsi occasionalmente nei locali notturni, finchè la risposta da un annuncio non la porta nel giro ben remunerato di ragazze messe a disposizione di facoltosi ed anziani signori da parte di una raffinata e misteriosa maîtresse. Quando è richiesta la sua presenza, Lucy viene addormentata grazie ad un potente sonnifero e lasciata alle voglie lascive di flaccidi amanti che possono disporre del suo corpo come meglio credono, tranne che...
Sotto l'egida dell'irriducibile femminismo poetico dell'australiana Jane Champion, l'esordiente (almeno per il cinema) Julia Leigh porta in scena un moderno adattamento della famosa fiaba della tradizione popolare europea (da Perrault ai Grimm e oltre) che affida le sue ragioni tanto al dramma di una precarietà sociale che degenera nella mercificazione (consapevole) del corpo femminile tanto ad un sottotesto psicologico da ricercare nell'intimismo della complessa personalità di una splendida protagonista, divisiva tra desiderio di normalità (lo studio,il mantenimento economico, le relazioni affettive) ed una indolente pulsione autodistruttiva.
In apparenza scevro dal didascalismmo compiaciuto di chi vuole a tutti i costi propugnare una tesi (il valore ed il potere dei soldi che la protagonista arriva a bruciare nel 'cupio dissolvi' di una scena peculiare del film) piuttosto articola il suo fulcro drammatico attorno ad una singolare ed affascinate figura di donna che si concede consapevolmente ('My vagina is not a temple') tanto per le ragioni di una mera sopravvivenza economica ('I would really suck your cock') quanto per la irresistibile tentazione di portare al limite l'indistricabile ambiguità nel rapporto tra amore e morte (la relazione platonica con un amico alcolista malato terminale, il tragico epilogo di un suicidio assistito) concedendosi totalmente nell'incoscienza del sonno (lo stato che più assomiglia alla morte) al ludibrio di uomini ricchi e spregiudicati. Filmando con pudore il corpo minuto e bellissimo di una Browning in stato di grazia, la Leigh evita accuratamente i rischi di una facile morbosità per accarezzare invece la sotterranea traccia di un'ambiguità psicologica che risiede nel vissuto della sua irrequieta protagonista (una madre alcolista, relazioni sentimentali fallimentari) ma scadendo nella tentazione di un finale ad effetto in cui sembra prevalere un tardivo ed incomrensibile 'ravvedimento morale' (va beh l'orrore della morte ma il pianto straziato non ce lo saremmo proprio aspettato!) e l'ironico contrappasso di un filmato, inutile e muto, di corpi esanimi stesi sopra un letto. Magari,avendo più corraggio, si poteva evitare di dare ulteriori spiegazioni. Due nomination al festival di Cannes valgono bene una messa (di requiem!).
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