Regia di Guillaume Canet vedi scheda film
Aspira ad essere qualcosa in più di un thriller, Non dirlo a nessuno si aggiunge ad una serie di titoli francesi che si sono inseriti nel genere che tradizionalmente è di dominio del mainstream Usa e ne hanno ridefinito con successo i parametri. Nel film di G.Canet non difettano gli ingredienti base quale tensione, colpi di scena, suspense, e un notevole dinamismo narrativo, il regista francese intanto realizza una messa in scena ambientale perfetta, quasi un vero e proprio controcampo geografico dove la Parigi moderna, i suoi vicoli meno frequentati da retrobottega e il degrado multietnico delle periferie sono la versione europea pari del miglior set newyorkese. Il thriller si materializza, un delitto che sembrava risolto non lo è, un sospetto, un’indagine, poliziotti buoni e fessi. Ottima la scelta dei personaggi, la selezione degli attori, l’uso infittito del dialogo che se allarga a macchia d’olio gli indizi, non può non riportare anche a quel libero fluire della parola, alla visualizzazione dei pensieri che da sempre caratterizzano il cinema locale. Il mainstream Usa qui cadrebbe, come non metterci presenze edonistiche forti, di richiamo, come non focalizzarsi unicamente su pochi personaggi che ci conducono a stretto giro di vite dentro i tempi vorticosi di una storia? Canet sceglie facce, corpi, figure sociali meno ricorrenti aldilà dell’oceano con un po’ di salubre realismo, il protagonista è il portabandiera delle facce qualunque, Francois Cluzet nella parte di Alex Beck (in attesa di essere maldestramente piazzato sulla sedia a rotelle di Quasi amici). La caratterizzazione del personaggio è esemplare, giocato sull’ambiguità del suo essere troppo apparentemente semplice, tuttavia innervato da ricordi, rimorsi, peculiarità umanamente sofferte che da un lato lo scagionano idealmente e dall’altro ne potrebbero fare un perfetto e inaspettato colpevole. Il film ha uno svolgimento lineare e appassionante perché giocato sull’incertezza che la sua vena thriller prevalga su di un quadro generale formato da vari personaggi che oltre essere sospetti più dell’indiziato fanno parte del suo ambito relazionale e familiare, impegnati nelle faccende più comuni, indaffarati ad affrontare micro difficoltà del quotidiano quasi servissero a ridurre l’impatto con la storia. Invece il ritmo emotivo cresce, con dosati flashback l’intreccio psicologico non invade, ma asseconda un certo dinamismo che si manifesta fra sorprese e riletture continue. Alex più che protagonista, quasi si trasforma in testimone dell’evoluzione del caso, siamo in mancanza della figura del suo antagonista, il suo non essere si allontana nettamente dal ruolo dell’antieroe polar, la regia mette in scena una rincorsa struggente verso la verità qualunque essa sia e ci verrà offerta in modo articolato e suscettibile di variazioni sul tema. Con una certa complessità la vicenda si delinea, rivelando aspetti segreti e assai scomodi per i protagonisti, e in un ulteriore gioco di specchi deformanti grazie ai flashback finali in qualche modo l’autentica versione dei fatti verrà dolorosamente a galla. L’apparizione(naturale, visto che è in un bosco, quanto surreale perché inattesa) di un cervo strappa anche un sorriso che ridimensiona qualche difettosa sequenza ruffiana condita da musica fin troppo significante, e rafforza la convinzione di non avere sprecato due ore e passa del nostro tempo ma.. non ditelo a nessuno.
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