Regia di Guillaume Canet vedi scheda film
Un paradisiaco luogo d’Amore - un lago immerso nella natura, a cui si accede percorrendo un viottolo delimitato da meravigliosi roseti che inebriano di ricordi indelebili affioranti dall’innocenza e cantano l’incanto della Bellezza, e custodito da un maestoso albero in cui incidere le profondità dell’eterna illusione -, diviene tomba; tomba d’ogni senso d’esistenza, inghiottita dall’oblio e abbandonata nel Nulla. L’anima appassisce, come fiori imputriditi, e soffoca.
E’ in quel lago, avvolto nella seducente oscurità governata da una luminescente e sinistra Luna, che il dr. Alexandre Beck, pediatra valido e rispettato, perde l’amatissima moglie, finendo lui stesso colpito, al petto e alla testa, e scaraventato in quelle stesse acque, mai così nere e funebri. Tre giorni di coma, il dolce sonno che culla l’inganno della vita. Intanto il cadavere della donna, nudo e violato, martoriato e votato alla preziosa attività scarnificante dei vermi conquistatori, viene ritrovato poco lontano, riconosciuto dal padre, un poliziotto. Per il dr. Beck il risveglio e l’atroce scoperta, che l’inabissa nell’ottenebrante e liquescente gorgo dell’uomo che fu, ed infine il ritorno alla (non) vita. Un’esistenza spettrale che non sa (voler) andare avanti, adagiata in una fagocitante mollezza. L’Orrore non si dimentica. Otto anni sono passati, la solita routine e il lavoro a dar fatuo conforto, il tormento e la solitudine come fedeli compagne. Un uomo solo, anche in mezzo all’assordante e stordente folla, s’avvelena d’alcool e di esalazioni mnemoniche - quelle dolci e melodiose che evocano remote passioni, ormai sepolte in sospiri danzanti nell’accecante bagliore di emorragiche reminiscenze di felicità, e quelle lugubri, con vampe implacabili a decretare la vittoria delle fiamme purificatrici della realtà trapassata e (s)velata sull’improvvida transitorietà di corpo e mente - (con)fuse in un’immonda quiete che ha i viscidi toni e l’empia armonia della (e)stasi di Morte.
Due corpi di uomini, dissotterrati dal maledettissimo (e mai più, fisicamente, visitato) lago, fanno riemergere dubbi (mai) sopiti sulla supposta innocenza del dr. Beck nell’ammazzamento della moglie, e la labilità della sua posizione muta in aperto sospetto al precipitoso svilupparsi degli eventi. E perché (e da chi) al contempo, riceve strane mail che lo conducono a un video in cui egli crede di scorgere la cara estinta? Col torbido e iniquo avvertimento poi, di “Ne le dis à personne. On nous surveille”, che ne acutizza lo stato straniante e smarrito … Riardono pulsioni d’appartenenza alla vita, d’aderenza a una ritrovata dimensione cosmica, in una crescente e nevrotica discesa nei meandri della psiche (s)travolti dall’ineluttabile e marcescibile attesa, cosparsa di miasmatiche insidie e dilanianti visioni, per qualcosa che può rivelarsi, angosciosamente, sia la sognata ripresa di sogni creduti perduti, sia l’irreparabile rovina nel delirio di un’agonia senza fine.
Ne le dis à personne è l’ennesimo, (in)spiegabile, sciagurato caso di maladistribuzione. In realtà, per correttezza, si dovrebbe parlare proprio di “assenza” di distribuzione. Sicuramente ci saranno stati dei buoni motivi ... magari i geni che decidono le sorti di un film nelle italiche sale avranno preso alla lettera il titolo, tradotto, Non dirlo a nessuno, e quelli a nessuno l’hanno detto!!
E sì che ha avuto un ottimo successo, e buoni riscontri dalla critica. E non solo in Francia.
Seconda opera da regista, dopo il brutto Mon idole, per Guillaume Canet, più noto come attore (recentemente visto in Last Night; in precedenza aveva recitato, tra gli altri, in L’enfer, The Beach, e soprattutto in Vidocq, in cui interpretava il biografo/alchimista), Ne le dis à personne è un thriller riuscito e convincente, notevole nel suo sviluppo e nella messa in scena. Adattando per il grande schermo il rilevante romanzo dello scrittore americano Harlan Coben, Tell No One (2001, ed. Mondadori), Canet, anche co-sceneggiatore, espone al meglio una storia intricata, disseminata di azioni mistificatorie e densa di colpi di scena (sin alla, doppia, rivelazione finale), mai improbabili, che anzi contribuiscono inoltre all’approfondimento dei personaggi - qualità rimarchevole -, senza ridurli a semplici soggetti passivi privi di spessore od alle consuete macchiette tutta foga e azione che il genere ha (troppo) spesso fornito. Anche a ciò si deve la durata della pellicola (oltre due ore), che comunque affatto annoia o rende pesante lo svolgimento. Altro merito del regista, coadiuvato da un efficace e preciso montaggio, è quello di saper dosare e fondere con sapienza e intelligenza le diverse “anime” del film, sfoggiando una sorprendente ed energica abilità tecnica nelle scene d’azione (come quella della fuga a piedi del protagonista braccato dalla polizia, tra le strade invase dalle auto, o come quella, furiosa, ambientata nelle pericolose periferie in cui in ogni istante può esplodere una battaglia senza tregua tra criminali e tutori dell’ordine), ed invece, mostrando mano attenta e cura, quasi “allontanandosi”, nelle scene più intimistiche (che perlopiù, ma non solo, riguardano il protagonista, da solo, afflitto dal dolore, o con la moglie).
Straordinarie tutte le interpretazioni, a partire naturalmente da Francois Cluzet (il dr. Beck), magnifico e misurato, ben descrive i travagli di un uomo, un medico abituato a dare risposte, posto al centro di una tragedia dai confini melmosi e mutevoli; da segnalare anche François Berléand (era il poliziotto francese nei tre The Transporter), nel ruolo del maggiore Éric Levkowitch, la sempre affascinante Kristin Scott Thomas (la compagna della sorella del dr. Beck) e Nathalie Baye (l’avvocato Feldman).
Giudizio ottimo anche per la fotografia, splendida e variegata, e per la colonna sonora. Quest’ultima, originale, è opera di -M- (pseudonimo di Matthieu Chedid), polistrumentista infaticabile ed eclettico, che inserisce brani di Otis Redding (For your precious love), Groove Armada (Hands of time), U2 (With or without you) e, soprattutto, la struggente e bellissima Lilac Wine dell’immenso Jeff Buckley, che, non a caso, fa da sfondo ad uno dei momenti migliori del film. Stupenda anche la canzone posta nei titoli di coda, Ne le dis à personne, scritta ed eseguita dallo stesso -M-, egregiamente sospesa tra Air ed esplosioni post-rock. Magistrale chiusura per un'opera da non perdere.
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