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Letters From The Mountains

Regia di Takashi Koizumi vedi scheda film

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La recensione su Letters From The Mountains

di yume
8 stelle

l passare delle stagioni scandisce il tempo del film, dalla primavera all’inverno, dai colori tenui delle gemme ai sontuosi ammassi di vegetazione che lambiscono le acque scroscianti dei ruscelli e le distese placide del fiume d’estate, ai caldi colori autunnali degli aceri che lasceranno le foglie sotto il candido manto di neve dell’inverno.

 

Scriveva Fosco Maraini in Ore giapponesi:

Avevo tempo non solo di ammirare e di restare stupito, ma di respirare un’aria che portava ignoti profumi, di penetrare, soprattutto di riflettere. Ecco intorno a me un grande popolo la cui civiltà, conoscendola meglio, appariva — benché profondamente diversa — ognora più chiara e luminosa: dunque la necessità della filosofia greca, dell’arte classica, del cristianesimo, senza di cui mi era stato insegnato ed avevo sempre letto che non v’è che barbarie, risultava invece da provarsi”.

E Marco, alter ego di Goffredo Parise in L’eleganza è frigida, durante il suo viaggio giapponese riflette su un haiku famoso di Basho:

L’usignolo canta

il piccolo becco spalancato

“…pensò a Saffo e a quei poeti che erano sembrati tanto moderni e scandalosi ai primi del Novecento in Europa; essi scrivevano poesie certamente meno belle di queste, anche se più belle di quel “t’amo pio bove” che senza dubbio è bovina. Ma Carducci rappresentava l’antichissima cultura realistica e materialistica italiana e Basho l’antichissima cultura giapponese.Giudichi il lettore”.

 

Il film di Koizumi Takashi aiuta a capire quel mondo, non accade nulla che non sia il tranquillo scorrere del tempo.

Amida-do dayori è una strada fatta di kohan zen e di de-costruzioni, armonia di un mondo dove l’innocenza non si è ancora perduta, è un’interpretazione in chiave post-moderna del satori o go, "Comprensione della Realtà", pratica zen che concilia una partecipazione attiva e consapevole al mondo con quella "visione del cuore delle cose" centrale nel Buddismo.

Koizumi gira questo film  nel 2002, è morto da quattro anni il suo grande maestro Kurosawa, ne ha ereditato il mestiere e un certo sguardo sul mondo, quindi trasferisce la troupe nella prefettura di Nagano sull’isola di Honshu, la regione del grande Fuji, nel piccolo villaggio di Yanaka, dove genziane, betulle e aceri portano gli ignoti profumi che incantavano Maraini nel ritmo lento e sicuro delle stagioni.

Takao e Michiko hanno deciso di andare a vivere lì, lasciandosi alle spalle la frenesia della città, gli attacchi di panico di Michiko, il suo ritmo circadiano alterato, le frustrazioni di Takao per una carriera di scrittore mai decollata.

Sono ancora giovani, sui quarant’anni, lei è medico e c’è tanto da fare nella piccola clinica del villaggio. Infatti gli inchini al suo passaggio non si contano, la fila arriva sempre fuori della porta, i bambini in coro dedicano alla bella coppia canzoncine squillanti e ben accordate mentre  l’antica casa della nonna di Takao immersa nella vegetazione li accoglie quieta, con i vecchi oggetti che hanno ancora l’odore degli abitanti di un tempo.

Una poesia di Miyazawa Kenji, copiata dalla madre di Takao quando lui era ancora bambino è attaccata alla parete e lui la legge a Michiko che esce il mattino per scendere al villaggio col suo passo agile, la zazzeretta corta di donna che va di fretta e sorride a chi incontra, è contenta di fare quello che fa, si sente utile e non spaventata dal mondo:

Alla pioggia non si arrende,

al vento non si arrende,

alla neve e al caldo estivo non si arrende,

ha un fisico robusto.

Mai adirato,

non ha smanie,

sempre sereno e sorridente.

Ogni giorno mangia settanta grammi di riso integrale,

il miso e un po' di verdura.

In tutti i casi

non bada a se stesso,

osservando, ascoltando, capendo

e non dimenticando.

Vive in una piccola capanna di paglia

all'ombra di un bosco di pini.

Se ad est c'è un bambino ammalato

va ad assisterlo,

se ad ovest c'è una madre stanca

va per portarle le fascine di riso,

se a sud c'è un moribondo

va per dirgli  "non avere paura",

se a nord c'è un litigio

va a dire "non siate meschini".

Quando è periodo di siccità, piange,

quando viene un'estate fredda, cammina preoccupato.

Da tutti viene detto un sempliciotto,

non è mai lodato,

però non è nemmeno causa di sofferenza.

Io voglio diventare

una persona così.

Il passare delle stagioni scandisce il tempo del film, dalla primavera all’inverno, dai colori tenui delle gemme ai sontuosi ammassi di vegetazione che lambiscono le acque scroscianti dei ruscelli e le distese placide del fiume d’estate, ai caldi colori autunnali degli aceri che lasceranno le foglie sotto il candido manto di neve dell’inverno.

Takao e Michiko condividono la scelta fatta in totale unisono, la loro è una vicinanza armoniosa, in sincronia perfetta, simbiotica con il ritmo della natura, i suoi suoni, il linguaggio muto degli alberi che Michiko abbraccia come un vecchio amico ritrovato.

Sai una cosa? – dice all’orecchio di Takao – sono contenta di essere venuta in questo villaggio” e poi, ridendo: “dicono che se gridi quando dici una cosa buona quella ti scappa”.

I loro vestiti di foggia moderna e cittadina non creano contrasto con l’ambiente ancestrale in cui s’immergono con naturalezza e da cui sono accolti con semplicità e affetto.

Il vecchio maestro che vive fuori dal villaggio e la signora Ume che abita nel tempio buddista in disuso sono i numi tutelari del luogo.

Lui è malato, un cancro allo stomaco, un passato di prigionia in Manciuria e poi in Siberia, il dolore per la morte del figlio.

Ora aspetta la morte con tranquilla consapevolezza, assistito dalla moglie che si prepara ad una nuova solitudine, dopo tanta sofferenza.

Nulla rompe il loro sereno equilibrio, Takao gli chiede dove siano i tanti libri che ricordava quando, da ragazzo, frequentava la casa.

Il maestro li ha donati alla scuola, non vuol lasciare niente dietro di sè, dice, è un modo per liberare la mente.

Takao ricorda la lettera che lui gli scrisse quando vinse il primo premio letterario:

Diventare famosi non è in nessun modo una buona cosa. Non ti eleva. Essere al centro delle chiacchiere della gente per te deve essere motivo d’imbarazzo”.

Che scortese, eh?” ride il saggio maestro.

La morte arriva silenziosa, in autunno, su quel futon che aveva messo ad arieggiare al sole, quando Takao era andato a salutarlo:

Se il sole splende, anche se domani finirà il mondo, non dimenticare di arieggiare il tuo futon” aveva scherzato.

A Takao resta il suo testamento spirituale, racchiuso nelle poche parole del primo incontro:

Anche alla mia età non si hanno certezze sul proprio valore. Ma che importa? Pensa solo a percorrere la tua strada senza rimpiangere nulla”.

 

Ma il vero miracolo di Amida-do dayori è la signora Ume.

Dal tempio di Buddha Amida arrivano le sue lettere, è una rubrica sul giornalino del paese, “Lettera dal tempio di Amida”, che Takao scopre quando la postina gliene porta una copia.

Lui si offre di distribuire le prossime edizioni, è libero, mentre per gli abitanti del villaggio sta iniziando il raccolto del riso.

Le lettere della signora Ume arrivano così fino a noi.

Le scrive Sayuri, una giovane che ha perso l’uso della voce in seguito ad una malattia.

E’ lei a raccogliere le parole della signora Ume  e Takao ora le legge :

“La gente ci dice di non soffermarci su ciò che abbiamo davanti ai nostri occhi, ma in primavera io pianto melanzane, fagioli e cetrioli nel mio giardino e li innaffio. E così, pensando solo alle cose che ho davanti a me, mi scopro improvvisamente novantaseienne. E’ una buona cosa che io non abbia dato importanza ad altro e che, così facendo, non abbia alimentato le mie preoccupazioni, no? Questo potrebbe essere il segreto per avere una lunga vita”.

Impossibile descrivere a parole la signora Ume, bisogna vederla, sentirne la voce, vedere la sua gestualità rude e insieme delicata, quel suo muoversi a fatica in un corpo vecchio che non si arrende, quella sua risata mentre beve il tè, il candore totale che l’avvolge e la sua saggezza incommensurabile  tradotta in vita quotidiana.

 

Penso che un racconto sia Amida Buddha quando prende la forma delle parole

ha scritto Sayuri sul suo grande quaderno, traducendo il pensiero di Ume che chiedeva a Takao se i suoi racconti fossero “veri o bugie”.

Secoli di dotte disquisizioni sull’argomento e guerre senza esclusione di colpi sul come e sul cosa dell'opera d'arte si annullano di fronte a queste  parole.

………………………………………

Oggi è luna piena... La luna cala dietro la montagna scura... Perché si deve aspettare così a lungo?   

L'universo è immerso nelle tenebre; accendi lo stoppino del tuo cuore, che t'illumini il cammino.

 

Le musiche di Takashi Kako, uno dei più famosi compositori e pianisti contemporanei giapponesi, sono il degno complemento sonoro di qualcosa che, se non è un capolavoro, ci va molto vicino. 

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