Regia di Hugh Hudson vedi scheda film
Olimpiadi di Parigi, 1924: Eric Liddell corre per glorificare Dio, Harold Abrahams per dimostrare che anche un ebreo può vincere. Una di quelle storie vere che sembrano finte, tale è la loro esemplarità: due rivali fatti apposta per stimarsi a vicenda, uno scontro diretto così decisivo da non avere luogo senza che nessuno ne senta la mancanza, nell’ultima edizione dei Giochi con de Coubertin presidente del CIO, quando ingaggiare un allenatore personale significava rischiare una squalifica per professionismo. Uno dei migliori film sportivi di sempre, perfetta espressione di quella civiltà britannica dove convivono agonismo e fair play: pomposo quel tanto che non guasta, con personaggi ai quali non si può non voler bene, questioni di principio che oggi apparirebbero inconcepibili, le trascinanti musiche di Vangelis e qualche perdonabile licenza (Liddell arrivò anche terzo nei 200 metri, gara di cui non si fa parola, e l’espediente per cui Lindsay poté cedergli il posto nei 400 per aver già vinto una medaglia nei 400 ostacoli è totalmente inventato). Senza dimenticare il profeta Isaia: “Quelli che sperano nell’Eterno acquisteranno nuove forze, si alzeranno in volo con le ali come aquile, correranno e non si stancheranno, cammineranno e non si affaticheranno” (40, 31).
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