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Momenti di gloria

Regia di Hugh Hudson vedi scheda film

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La recensione su Momenti di gloria

di maso
8 stelle

L'avventura della squadra di atletica britannica alle olimpiadi parigine del 1924 è in sostanza l’avvenimento culminante di “Chariots of fire" che per la minuziosità delle gare descritte vinse la sua sfida la notte degli Oscar ’82 battendo altri quattro americanissimi film, almeno per paternità, proprio come quegli atleti fecero con i loro rivali d’oltre oceano e rivalutando oggi questa assegnazione con un occhio più attento mi verrebbe da dire che i membri della Academy non elessero forse il miglior film ma quello meno criticabile soprattutto perché Hudson non era un regista del gruppo hollywoodiano dei ribelli, cercava invece di rilanciare la decadenza che stava attanagliando il cinema d’oltre manica a secco di riconoscimenti e capolavori ormai da un paio di lustri.

Indubbiamente “Chariots of fire” è un film che per luce e regia è impeccabile: l’opaco tono delle immagini colorate da una luce solare perennemente filtrata dalle dense nuvole che sovrastano la Gran Bretagna ci riporta indietro nel tempo come se stessimo correndo al fianco della squadra podisti inglesi a piedi nudi sulla spiaggia non lontana da Cambridge, questa immagine ripresa con una ondeggiante stadycam a ridosso degli atleti è un po’ il simbolo di questo film, sembra che gli spruzzi del mare ci arrivino addosso e la celeberrima musica di Vangelis suggella il tutto trasportando le emozioni oltre l’ostacolo. Cosa c’è che non va in questo film allora? Perché molti storcono la bocca d’innanzi ad un’opera di così intensa emotività? 

Una parola sola: l’enfasi! Ce n’è fin troppa nel descrivere le motivazioni che portano Eric Liddell a gareggiare per glorificare il suo Dio e dato che questo personaggio è protagonista per una buona metà del film si ripetono ad intervalli irregolari una infinità di sequenze, dialoghi, commenti sovrapposti che hanno come argomento le sviolinate di Eric Liddel verso il nostro signore che a lungo andare distolgono l’attenzione verso la passione sportiva e il sacrificio che porta alla vittoria, ciò che salva il personaggio è la prova di Ian Charleson, seppur meno esplosivo nel fisico rispetto al vero Liddell ha clonato con estrema efficacia le sue movenze e lo ha caratterizzato con una personalità obbligatoriamente bigotta visto che era un missionario nato in Cina ma anche forte ed ostinato; all’altra estremità si pone la prova un po’ più sofferta di Ben Cross nel ruolo dell’ebreo Harold Abrahams che corre per affermare la propria personalità ed abbattere i pregiudizi nei confronti del suo popolo ma rispetto alle opprimenti motivazioni del suo amico e rivale il tutto è qui lasciato molto in sottofondo ed è un bene perché viene concesso più spazio al rapporto con una bella ballerina di cui si innamora e soprattutto con il suo allenatore interpretato da uno strepitoso Ian Holm che ruba spesso la scena ai suoi giovani colleghi, non fatevi ingannare dal folto numero di attori britannici elencati nel cast perché le loro parti sono poco più che dei camei, certamente importanti per dare più spessore al film ma non determinanti per la sua riuscita che si deve prevalentemente alle dettagliate ricostruzioni d’epoca, anche se nello stadio si intravede qualche cartellone pubblicitario di troppo, e più che mai alle coordinatissime sequenze in pista arricchite da un intelligente montaggio incrociato.

La corsa, il gesto atletico primordiale e più spontaneo è omaggiato gloriosamente in questo film e non certo il nostro Dio con la Madonna o tutti gli angeli del paradiso santificati perché dipinti su una colonna: la gara forsennata nel cortile di Cambridge, gli allenamenti di Abrahams, lord Lindsay che salta gli ostacoli su cui sono poggiate coppe di champagne colme fino al bordo e tutta la sessione olimpica sono il fiore all’occhiello di questo ottimo film sportivo che va apprezzato per questi aspetti e trascurato per gli altri sciropposi e pomposi di stampo religioso che per me valgono appena come impronta iconografica dei personaggi.

Il folto cast di attori britannici vecchi e nuovi è completato da due giovani attori americani che si stavano facendo largo nella schiera di promettenti talenti hollywoodiani, ricoprono i ruoli degli avversari più insidiosi per gli atleti inglesi, rispettivamente Brad Davies nel ruolo di Scholz e Dennis Christopher nel ruolo di Paddock, entrambi non ebbero una carriera significativa ma li ricorderò sempre per aver partecipato a due film bellissimi in cui sono gli assoluti protagonisti e sto parlando di “Fuga di mezzanotte” e “Breaking away”.

L’andamento degli avvenimenti è descritto con puntualità e coincidenza ma c’è una incongruenza con la realtà che va obbligatoriamente segnalata: lord Lindsay, interpretato alla grandissima da Nigel Havers tanto che l'ho eletto a mio personaggio preferito della storia, corre i quattrocento ostacoli piazzandosi al secondo posto e durante la diatriba nella quale Liddell dichiara di non voler correre i cento metri perchè le qualifiche sono di domenica è proprio Lindsay a dichiarare che lui una medaglia l’ha già vinta e per far correre Liddell si farà da parte fornendo la soluzione del problema che teneva sulle spine il comitato atleti britannico, purtroppo sir Andrew Lindsay a Parigi non vinse nessuna medaglia e fu Liddell a proporsi per i quattrocento come unica possibilità di gareggiare.

Gli anni passano ma questo film continua a vivere i suoi momenti di gloria così come avvenne per quegli atleti nel 1924, per il produttore David Puttnam quella notte del 1982 e per tutti coloro che si appassionano nel vederlo oggi, non è un caso che la bellissima musica elettronica di Vangelis da molti considerata inappropriata per un film ambientato negli anni venti sia diventata la colonna sonora di ogni trionfo sportivo: gli intarsi di tastiera sintetizzata sono per me adatti per creare un ponte sonoro con orecchi abituati a strumenti più elaborati creando un contrasto anacronistico affascinante come avverrà anche in "The Bounty", correte allora a vivere emozionanti "Momenti di gloria".

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