Regia di King Vidor vedi scheda film
Harry Pulham, affermato uomo d’affari bostoniano dalle abitudini estremamente regolari, riceve nello stesso giorno l’invito a una rimpatriata dei vecchi compagni di Harvard e la telefonata di un’ex fiamma: due fatti che lo inducono a ripensare alle scelte compiute in passato. Per molti anni, fino all’uscita dell’edizione in dvd, questo è stato il mio personale Graal cinefilo; ed è quasi inevitabile che nel frattempo le aspettative siano cresciute a livelli inarrivabili. È comunque certamente un buon film, nel quale si riconosce la mano dell’autore di La folla: la storia di un uomo comune (Robert Young) che credeva di essere l’artefice del proprio destino e invece si rende conto di essere stato educato fin da bambino al conformismo, alla mediocrità, e si ritrova invischiato in una vita non sua. Ma le cose potevano anche andare diversamente: adesso il trasferimento a New York per cercare di affrancarsi dalla famiglia, il lavoro presso un’agenzia pubblicitaria, l’amicizia con un radicale (Van Heflin), l’amore per una bella collega (Hedy Lamarr) gli appaiono come l’età dell’oro; poi c’è stata la morte del padre (Charles Coburn), la necessità di occuparsi dell’azienda familiare, il matrimonio con la ragazza alla quale i suoi l’avevano sempre indirizzato (Ruth Hussey). Nessuna cupezza, nessuna disperazione: solo la quieta malinconia con cui si guarda alle occasioni perdute. Anche il finale è agrodolce, e passibile di due letture opposte: rassegnato ritorno all’ordine o riconciliazione con sé stesso? Piccola curiosità: al primo appuntamento con la sua ex, Pulham non si presenta ma manda due dozzine di rose American Beauty; che, casualmente, sessant’anni dopo daranno il titolo a un altro film sulla crisi di un uomo di mezza età.
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